Sardegna, fermato l’impianto fotovoltaico più grande d’Italia

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Fermato sul nascere l’impianto agrivoltaico “Palmadula Solar”, il più grande campo di pannelli solari mai proposto in Italia per potenza e dimensione: da progetto avrebbe prodotto 360 MW di potenza e sarebbe stato dotato di un sistema di accumulo di capacità pari a 82,5 MWh. L’infrastruttura, che avrebbe occupato oltre 1.043 ettari nel Comune di Sassari, è stata giudicata incompatibile con le esigenze di tutela ambientale e della biodiversità.

Lo stop della Commissione nazionale per la valutazione dell’impatto ambientale, su richiesta della regione Sardegna, è stato deciso poiché l’area interessata dall’impianto è stata valutata come “caratterizzata da habitat naturali di alto valore ecologico” situati a una distanza inferiore a due chilometri dalle Zone di protezione speciale degli stagni retrodunali “fondamentali per la conservazione di specie protette e per il mantenimento dell’equilibrio ecosistemico”.

La cartografia del progetto

Il titolare del progetto Palmadula (vedi mappa sopra) è oggi la Chint Solar Europe, filiale europea della omonima compagnia statale della Repubblica popolare cinese e tra i principali produttori di pannelli fotovoltaici al mondo, che lo aveva acquisito dalla spagnola Enerside Group.

La Regione spiega che “la realizzazione del progetto avrebbe comportato una significativa sottrazione di habitat naturali, compromettendo le connessioni ecologiche e incrementando il rischio di frammentazione ambientale”. L’impianto avrebbero trasformato il territorio da agricolo a infrastrutturato, con gravi conseguenze per suolo, biodiversità e paesaggio, oltre all’alterazione irreversibile del paesaggio agricolo della Nurra, un’area di pregio naturale e culturale, violando i principi di sostenibilità ambientale.

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Nella stessa riunione, è arrivato anche il parere negativo su un altro impianto agrivoltaico, denominato “Guspini”, proposto in territorio del comune di Guspini in un’area di circa 80 ettari e per una potenza di 64,40 MW. Le ragioni del diniego, anche in questo caso, sono riconducibili a motivi di incompatibilità con aree di pregio naturale e culturale per il rischio che tale impianto potesse determinare un’alterazione del paesaggio rurale e impatti su aree protette e siti ad alta valenza ecologica.
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