Il conflitto in Ucraina e l’orologio dell’Apocalisse

Il conflitto in Ucraina e l’orologio dell’Apocalisse

di Giuseppe Romeo – Ci sono molte citazioni cui spesso si fa riferimento per diverse ragioni. Per una sorta di eleganza di testo o anche per semplice dimostrazione di erudita saccenterìa. E ci sono diverse possibilità di poterle raggiungere grazie alle scorciatoie che il Web permette agli utenti più attenti se non curiosi, o anche solo per non perdere tempo in letture complesse. Ad esempio, circa il rischio di un conflitto nucleare due citazioni sono interessanti, ognuna delle quali nasconde una sua verità. Un senso di pragmaticità, seppur celato da autori diversi per formazione, esperienza e provenienza.

Una di queste è quella di Charles Bukowski per il quale “Le due più grandi invenzioni dell’uomo sono il letto e la bomba atomica: il primo ti tiene lontano dalla noie, il secondo le elimina”. L’altra, e forse più significativa anche se datata, è quella di Omar Nelson Bradley, generale degli Stati Uniti, ex vice di Patton e poi suo superiore quale comandante della I armata ai tempi dello sbarco in Normandia, oltre a essere stato il comandante del XII gruppo di armate fino al termine del Secondo conflitto mondiale.

Bradley fu, senza dubbio alcuno, uno dei generali americani presenti sui campi di battaglia della Seconda guerra mondiale più dotato di senso della misura e di capacità di dedurre le condizioni necessarie per sostenere ogni sforzo con successo. Per Bradley “il modo per vincere una guerra atomica è assicurarsi che non possa mai scoppiare”.
Un monito, quest’ultimo, espresso in tempi di certo non facili, siamo all’inizio della Guerra Fredda e di fronte alla formulazione delle prime dottrine di impiego dei sistemi d’arma nucleari, ma interessanti ancora oggi per comprendere come e in che termini la guerra nucleare condiziona le relazioni politiche. Soprattutto, con quale capacità distruttiva, senza produrre né vincitori e né sconfitti, un conflitto nucleare potrebbe cambiare la vita di ogni essere umano anche al di là delle formule ipocrite di uso “limitato” o “tattico” dei relativi sistemi d’arma. Un suggerimento che oltre a condizionare le scelte e le dottrine strategiche tra gli anni Sessanta e Novanta del Novecento, sembra non trovare spazio nelle memorie corte dei leader di oggi.

Memorie che sembrano non riuscire neanche a recuperare il messaggio di “Joshua”, il supercomputer del Norad che nel film WarGames del 1983, in piena epoca di contrattazione SALT (Strategic Arms Limitation Talks) sulla riduzione delle armi nucleari strategiche (ICMB) vedeva risolversi il rischio di un’apocalisse in una partita a Tris, riconducendo tale esercizio – tra lo scienziato e “Joshua” – all’interno di quei giochi complessi nei quali l’effetto “Macbeth” (quell’effetto per il quale coloro che hanno investito le proprie risorse in un’attività non remunerativa “modificano” le proprie convinzioni sulla redditività dell’investimento, al fine di evitare la spiacevole consapevolezza di aver commesso un errore) fa sì che gli attori si cimentino poi in una sfida ossessivo-compulsiva per la supremazia e il cui risultato, cioè la miglior strategia possibile, molto ben espressa da “Joshua”, di fronte all’uso dei sistemi nucleari, sarà quella di …non giocare.

Ecco, allora, che in questa riedizione di una possibile sfida nucleare posta dalla Russia ma non archiviata di certo neanche dagli Stati Uniti, ancora una volta sembrano spostarsi in avanti verso la mezzanotte le lancette dell’orologio dell’Apocalisse che solo nel 1991, dopo la firma degli accordi START I (Strategic Arms Reduction Treaty) da parte di Gorbaciov e Reagan, riuscì a tornare indietro di ben oltre dieci minuti dall’ora zero della fine del mondo o della sola Europa. Probabilmente, in tutti questi anni, sembra che la lancetta dei minuti che precede la mezzanotte si stia approssimando alla ventiquattresima e ultima ora di un giorno, dimenticando tutti gli sforzi fatti per garantire un disarmo vero e concreto ponendo un freno all’overkill nucleare.

Nel convincimento delle parti in conflitto di avere entrambe ragione in virtù di una propria interpretazione delle norme di diritto internazionale – cui gli stessi Stati Uniti hanno dimostrato che in certi casi, quelli da loro considerati legittimi, queste non si applicano rendendo la guerra preventiva lecita – oggi si decide di guardare ancora una volta alla possibilità che una minaccia o un uso sistematico di missili possa definire e risolvere un conflitto. Un conflitto illecito per chi lo ha scatenato, la Russia, e altrettanto per chi lo ha provocato, l’Occidente euro e americo-atlantico.

La verità è che, messi da parte gli slogan e i presunti valori da difendere, non ci sono alibi di sorta per chi ha a cuore il destino di un’Europa dove non vi sono zone di immunità da responsabilità politiche per le morti su un campo di battaglia che è, ormai, solo europeo per gli Stati Uniti. In questo senso, poco importa che la dottrina nucleare russa sia stata rivista da Putin in questi giorni.

La postura nucleare della Russia era sin troppo chiara sin dalla formulazione della dottrina del 2008 e dalla definizione di de-escalation legata anche, se necessario, al ricorso di sistemi d’arma nucleari tattici pur di convincere l’avversario a negoziare in caso di crisi. Giocare ancora, per l’Occidente e per gli Stati Uniti, con una strategia da rischio calcolato o di brinkmanship significa accettare di alzare la posta per vedere sin dove si potrà arrivare per negoziare da posizioni di possibile vantaggio, se fosse, con la Russia e poco importa quale sarà il prezzo da pagare per l’Europa.

In tale ennesima sfida, condotta senza combattere apertamente e usando le armi della contaminazione e manipolazione ideologica, l’Unione europea sembra subire nuovamente il fascino lugubre di un nuovo Dottor Stranamore. Rinunciando, purtroppo, a fare la differenza nonostante l’azzardo nucleare della Russia e credendo, se non illudendosi, di poter contare, se fosse, in una certa, non importa se limitata, pari reazione degli Stati Uniti; gli unici a poter decidere se rispondere nuclearmente o meno valutando le conseguenze e, soprattutto, il proprio interesse a farlo.

In questi anni sembra che l’Unione europea, con i suoi vuoti funzionali di memoria, abbia dimenticato come e con quale fatica si sia giunti negli anni alla firma di trattati come quello di Non-Proliferazione (TNP) nel lontano 1968 oggi materialmente sospeso. Così come sembra che si sia persa nei cestini degli uffici politici delle alleanze che contano quegli appunti dove si annotava che nel 2009 il presidente Obama rinunciò al dislocamento di sistemi di difesa anti-missile Shield – basato su sistemi anti-missile Patriot e deciso durante il Vertice Nato di Praga del 2002 – cui corrispose la rinuncia da parte di Mosca allo schieramento di sistemi missilistici Iskander da parte russa a Kaliningrad, presidenza Medvedev.

Tuttavia, la decisione di Obama fu poi quella di ridislocarli su sistemi antimissile navali (Aegis Combat System). Una decisione che rendeva inutile quanto sottoscritto con il Trattato ABM (Anti-Ballistic-Missiles) dal momento che tale rideterminazione a favore di unità navali statunitensi, se presenti nel Mar Nero con tali sistemi di lancio e difesa antimissile, avrebbe reso inutile la capacità di deterrenza/dissuasione della Russia.

Lo stesso Putin, nonostante la sua disponibilità a valutare e portare avanti una cooperazione con la Nato dal Vertice di Pratica di Mare del 2002 in poi rilanciando il Consiglio congiunto Nato-Russia propose – sostenendo che la presenza di un’architettura di difesa antimissile andava contro le previsioni del trattato ABM perché ciò comprometteva la capacità di dissuasione/deterrenza e, quindi, la sicurezza della Russia – una ulteriore riduzione delle testate MIRV (Multiple Independently targetable Reentry Vehicles) per compensare l’uscita degli Stati Uniti dal trattato ABM. Gli Stati Uniti ritennero inaccettabili le richieste di Mosca con il risultato del disimpegno di Washington dal trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) firmato nel 1987 da Gorbaciov e Reagan rendendo, così, inutili i successivi trattati START (Strategic Arms Reduction Treaty) I, II, poi il trattato Sort (Strategic Offensive Reductions Treaty), lo START III e facendo naufragare il New START firmato da Obama e Medvedev – nonostante gli allargamenti a Est della Nato – a Praga l’8 aprile 2010. Fallimenti intervenuti tra una crisi e l’altra, con l’Ucraina collocata al centro di un confronto tra il 2008 e il 2014 e poi sino ad oggi e che, a distanza di anni, non solo ha rilanciato la corsa al riarmo nucleare, ma anche determinato il congelamento del trattato CFE (Conventional Forces in Europe) da parte russa dopo che ogni possibilità di composizione della crisi russo-ucraina si è dispersa nelle nebbie di Minsk. Ma non solo.

Le rimostranze russe determinarono l’uscita degli Stati Uniti proprio da quel trattato INF al quale si affidò la soluzione della crisi degli euromissili degli anni Ottanta e che più di ogni altro trattato interessava direttamente la sicurezza europea circa l’uso di armi nucleari di teatro. Per le memorie corte europee, si trattava di quei missili a raggio intermedio con testate nucleari – gli SS 20 sovietici e i Pershing e Cruise a stelle e strisce – che avrebbero deciso lo scontro tra Nato e Patto di Varsavia sul terreno europeo senza coinvolgere né il territorio sovietico né quello statunitense. Insomma, una resa dei conti da giocarsi sulla pelle dell’Europa cui solo un attento Helmut Khol ebbe il coraggio di chiuderne la partita. D’altra parte, la Germania sarebbe stata il luogo di maggior impatto degli uni e degli altri e per Kohl era chiara, nelle ragioni degli euromissili, l’esistenza di quel patto non scritto per il quale le rispettive homeland, statunitensi e sovietiche, erano da ritenersi fuori da un possibile scontro nucleare visto che, in caso di un confronto globale, non vi sarebbero stati né vincitori né vinti.

Oggi, spostando l’attenzione sul piano politico strategico, convinti per eccesso di sicurezza di risultato di poterci permettere di correre un rischio di escalation, dovremmo ammettere che la decisione improvvida di Biden di consentire l’uso di sistemi d’attacco missilistico in profondità sul territorio russo alla fine ha offerto a Putin quell’assist che andava evitato. Cioè una giustificazione a colpire in profondità l’Ucraina, capitale compresa come avvenuto con la risposta agli attacchi con missili del sistema ATACMS con l’impiego da parte russa di nuovi vettori ipersonici “Oreshnik” ancorché privi di testata nucleare con buona pace del defunto trattato INF. Il risultato raggiunto è che, ancora una volta, invece di porre in essere ogni possibile tentativo negoziale in tutti questi mesi si continua a giocare, drammaticamente per non usare altri termini, sulla pelle degli ucraini convinti, gli Stati Uniti dell’ultimo Biden, che la Russia possa accettare di scomparire dalla storia, a questo punto, per un capriccio USA.

Il risultato di ieri e di un domani non negoziale sarà che, al netto dell’impiego di missili in profondità da parte Ucraina verso la Russia, quest’ultima continuerà a risponderà alzando il prezzo del conflitto disponendo, comunque, di risorse counterforce efficacemente esprimibili e dottrinalmente collaudate, e poco importa se la Polonia proverà ad esporre gli unici muscoli atlantici che sono rimasti in Europa sognando magari Leopoli quale riconoscenza da parte di Kiev. Di certo Trump non si impegnerà in un conflitto aperto con Mosca, tanto quanto l’opinione pubblica americana non seguirà ciò che resterà del Biden estinto in questa follia. Insomma, l’’Unione europea, “triangolo” di Weimar o meno, non potrà che raccogliere ciò che ha seminato dimostrando la sua scarsa personalità diplomatica, vittima delle scelte politiche del protettore di sempre, senza un De Gaulle all’orizzonte, né un Willy Brandt o un Kohl d’altri tempi.

Oggi, nel non considerare che una minaccia nucleare deve essere credibile per essere usata anche in termini politici, i leader europei si presentano con importanti lacune storiche che impediscono di ben valutare scelte, dichiarazioni e conseguenze e, soprattutto costi non solo economici ma di vite umane. Il vero problema, rinunciando a una soluzione diplomatica, è che si giochi su un tavolo da poker non più verde ma rosso sangue senza pensare che, nel rialzare la posta, si rafforza la posizione del giocatore avversario. Una posizione che aumenta la volontà nel perseguire i propri obiettivi e di cui Putin ne fa buon uso convinto di giocare la partita per la sopravvivenza della Russia, consapevole che di fronte a minacce sull’integrità della Federazione russa, e per quanto possa essere inviso anche agli stessi russi, ciò farà sì che il popolo russo ne sosterrà la leadership nel giustificare la guerra con l’Ucraina e, se fosse, anche contro l’Occidente. Una sorta di nuova guerra patriottica condotta capovolgendo, in questo modo, i termini stessi della crisi che l’ha prodotta: la controversa figura di Stalin rivista nel guidare la resistenza contro il nazismo insegna. L’Unione europea della von der Layen ha risposto e continua a rispondere non solo disperdendo risorse finanziarie che si dissolvono ogni giorno sui campi di battaglia, ma politicamente ricorrendo a luoghi comuni intrisi di retorica e poco realisti, mentre nell’incapacità di seguire un percorso di de-escalation a iniziativa Nato si rischia di porre in discussione la stessa utilità dell’Alleanza.

Bisognerebbe ricordare a molti leader europei che sperano che non si giunga sull’orlo di un orizzonte degli eventi, che agire secondo un approccio too big to fail, nelle strategie nucleari non è salutare se non al prezzo di un destino di sofferenze senza precedenti cui l’Europa non è certo pronta a pagarne i costi materiali e umani. La verità, oggi, è che di fronte a un’Unione europea che non sarebbe più la stessa in caso di conflitto nucleare anche solo limitato – con gli Stati Uniti di Trump pronti a lasciarla a leccarsi le ferite, magari vendendogli poi la cura – non sembra vi siano strade diverse dal dover negoziare ma, soprattutto, dal dover tornare a quel punto di ripristino del 27 maggio 1997. Una data nella quale sembrava che si potesse ridisegnare a Parigi, nel mettere in campo un Consiglio Congiunto Nato–Russia, un nuovo corso per l’Europa, la Nato e la Russia in un modello di pace continentale condiviso e di relazioni improntate alla giusta e necessaria fiducia e onestà. Solo in questo caso potremmo riportare indietro quelle lancette dei minuti dell’orologio dell’Apocalisse per avere il tempo di guardare e giudicare non solo gli errori altrui ma, soprattutto, guardare e giudicare i nostri cercando di allontanare, nuovamente, le nostre vite dalla mezzanotte nucleare.
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