120 giorni in carcere da innocente, ma gli negano l’ingiusta detenzione

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Al danno della carcerazione per complessivi 120 giorni, la beffa del mancato risarcimento per ingiusta detenzione, perché, secondo la Corte d’Appello di Bari, Luciano Di Marzo (e la moglie Anna Bonanno), avrebbero “colpevolmente omesso di rappresentare elementi a sostegno” della loro innocenza ed estraneità rispetto alla rapina commessa in una gioielleria di Corso Aldo Moro a Cerignola l’8 marzo 2019, quando un uomo e una donna fecero irruzione nell’attività commerciale fingendosi due comuni clienti, ma puntarono la pistola contro una commessa, immobilizzandola e colpendola con uno schiaffo in pieno viso.

Pochi istanti dopo sopraggiunse un complice ‘armato’ di taser per immobilizzare la vittima (il video della rapina). Gli autori del colpo si impossessarono di numerosissimi articoli commerciali, per poi darsi alla fuga con un’autovettura con targa clonata condotta da un quarto complice. Di 72mila euro il bottino.

Per i giudici, i coniugi torinesi si sarebbero resi autori di alcune “inesattezze e imprecisioni macroscopiche”, che convinsero gli inquirenti a ritenere che i loro alibi fossero falsi. Le testimonianze della dipendente ferita e delle due titolari presenti durante la rapina, evidentemente peggiorarono la posizione degli indagati.

Entrambi furono arrestati il 5 giugno dello stesso anno. Tuttavia il 42enne operatore del soccorso stradale e la donna 35enne – che in quel periodo aveva appena partorito il quarto figlio – l’8 marzo di cinque anni fa erano a Torino e non a Cerignola. Quel giorno la giovane madre aveva portato il bambino dalla pediatria.

Il Tribunale della Libertà, innanzi alla quale la dottoressa confermò di aver ricevuto la visita della signora e di suo figlio, il 24 giugno rimise l’indagata in libertà. Il giorno successivo all’udienza, sul luogo della rapina, fu eseguita dal prof. Vincenzo Mastronardi, una perizia antropometrica con tecnica computerizzata richiesta dal pubblico ministero.

In una nota, il perito criminologo del Politecnico di Bari riferì di una differenza di 10-15 centimetri d’altezza rispetto Luca Capocefalo, il presunto basista di Cerignola (scarcerato il 25 giugno). La difesa a quel punto evidenziò che il compendio indiziario nei confronti di Luciano Di Marzo, non reggeva più.

Con tutto ciò – alla quinta istanza di scarcerazione – solo quando la perizia antropometrica scagionò Di Marzo, il pm avanzò richiesta di revoca della misura, che l’indagato torinese ottenne dopo 120 giorni di detenzione il 23 settembre.

Il procedimento è stato archiviato il 25 ottobre 2021. Successivamente è stata presentata domanda di riparazione del danno per ingiusta detenzione (rigettata), presentata dagli avvocati Giacomo Lattanzio del Foro di Foggia e dal collega torinese Domenico Peila, che in Corte di Cassazione proveranno ad eccepire l’illogicità della motivazione chiedendo l’annullamento dell’ordinanza.

I veri colpevoli della rapina sono stati individuati e condannati. A Foggiatoday l’avv. Giacomo Lattanzio dichiara: “E’ una vicenda molto strana ed effettivamente nessuno ha voluto ascoltare la voce di queste persone che hanno vissuto una tragedia infinita”.
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