Sabotaggio sui rimpatri: ecco chi lavora contro l’Italia

Migranti troppi arrivi

di Fausto Biloslavo – Parlamentari mobilitati, che sbarcano in Albania e tentativi abortiti all’Europarlamento. Magistrati che preparavano da mesi l’offensiva giudiziaria per ostacolare il governo. Associazioni pro migranti e Ong sul piede di guerra per far saltare l’invio dei migranti illegali nel paese delle Aquile. «Una macchina da guerra» è la definizione più che azzeccata di un alto ufficiale in prima linea sul mare. I numeri dimostrano l’inversione di tendenza nel 2024 rispetto agli sbarchi e il piano Albania è un ulteriore deterrente, che la «macchina da guerra» ben organizzata e coordinata vuole bloccare ad ogni costo.

Al 30 ottobre sono sbarcati in Italia 55.049 rispetto ai 144.035 dello steso periodo nel 2023. E guarda caso la prima nazionalità arriva dal Bangladesh (11.180), che secondo alcuni giudici non possiamo portare in Albania. Le Ong hanno recuperato 9.589 migranti, in linea in termini assoluti rispetto allo scorso anno, ma con un’impennata percentuale al 17,7% sui numeri totali degli arrivi. E quasi tutti sono stati «soccorsi» al largo della Tripolitania, primo hub dei trafficanti per partenze verso l’Italia. Anche i rimpatri, seppure diminuiti numericamente, risultano aumentati in percentuale del 16% nel 2024.

La linea del Piave dei talebani dell’accoglienza è il progetto Albania, che se partisse a pieno regime potrebbe essere un deterrente capace di diminuire ulteriormente le partenze. «Riflettori sempre accesi» è il nome dell’operazione sul campo lanciata dal Pd con l’annuncio di una staffetta di parlamentari italiani e europei in Albania. Alla prima spedizione del 17 ottobre hanno partecipato il segretario di Più Europa, Riccardo Magi, due deputati dem (Paolo Ciani e Rachele Scarpa) e una di Avs, (Francesca Ghirra).

Diritto sacrosanto di protestare, ma suona in maniera diversa quando Scarpa preannuncia che i primi migranti sarebbero stati «riportati indietro» per la mancata convalida dei trattenimenti in Albania «vista la loro provenienza».

Puntuale è arrivato il niet dei magistrati del Tribunale di Roma, sezione immigrazione, che giudicano non sicuri l’Egitto e il Bangladesh aggrappandosi a una sentenza del 4 ottobre della Corte di giustizia europea. Altri colleghi a cominciare da Cuno Tarfusser, con grande esperienza internazionale, bollano come «semplicemente sbagliata» l’interpretazione dei giudici di Roma. L’Egitto è considerato in parte insicuro nonostante nel 2023 sia stato registrato il numero record di 15 milioni di turisti compresi 850mila italiani. E per il Bangladesh si sfiora il ridicolo dopo la nomina a nuovo capo del governo del premio Nobel per la pace, Muhammad Yunus.

Il piano anti Albania era già pronto e annunciato fin da un convegno del 17 maggio dalla giudice Silvia Albano, presidente di Magistratura democratica, che ha fatto tornare in Italia alcuni dei primi migranti già trasferiti nel Paese delle aquile. Sul lato politico l’offensiva coinvolge anche il Parlamento di Strasburgo. Cecilia Strada, che è stata a lungo presidente di Emergency, in parallelo alla missione della sinistra in Albania aveva annunciato un’interrogazione urgente alla commissione Ue per chiedere di «verificare la rispondenza alla legislazione comunitaria» del modello e in caso contrario di «aprire una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia».

Assieme agli alfieri politici e giudiziari, la «macchina da guerra» pro migranti, recluta associazioni e Ong talebane dell’accoglienza. In prima linea contro il piano albanese c’è l’Asgi, finanziata da Soros e composta da docenti, legali, esperti. Il 24 ottobre l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ha pubblicato sotto il titolo «Convalida dei trattenimenti in frontiera e in Albania: aggiornata la lista delle eccezioni sollevabili» ben 23 dettagliate indicazioni per i legali dei migranti.

Bastoni fra le ruote che trovano riscontro nell’opposizione giudiziaria anche con l’ultimo rinvio a Bologna alla corte di giustizia Ue del decreto Paesi sicuri, ancora una volta da un giudice, Marco Gattuso, vicino a Magistratura democratica.
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