Sedico, apertura anno accademico Unidolomiti-SSML 28 ottobre 2024

DON MICHELE CANELLA, SALESIANO

«Giustizia e pace si baceranno» Salmo 85 – DON MICHELE CANELLA, SALESIANO

Il testo biblico da cui è tratta questa espressione – «Giustizia e pace si baceranno» – non è un libro di filosofia. La Bibbia ama piuttosto un ragionamento che procede concreto, aderente alla realtà. E quindi molto spesso per nominare concetti complessi come quelli dei valori (la verità, la fedeltà, l’alleanza …), prende a prestito immagini dalla vita reale. Nel caso specifico le labbra che si sfiorano …

Vi propongo di mettervi in ascolto di questo testo biblico sulla scorta di una profonda intuizione di don Romano Guardini, sacerdote, educatore, filosofo e teologo italo-tedesco, nato a Verona nel 1855 e morto a Monco di Baviera il 1° ottobre 1968. Tenendo sullo sfondo quanto scrisse nel 1925 in un saggio programmatico titolato “L’opposizione polare. Per una filosofia del concreto vivente”.

A suo modo di vedere, ogni concreto vivente, e l’uomo in modo del tutto speciale, è costituito da tante “opposizioni polari”, esiste nel continuo incontro tra di esse. Nel cuore dell’uomo, dunque, Giustizia e Pace le possiamo considerare come due fuochi di un’unica ellisse, due realtà che possono esistere soltanto nella tensione che le oppone, senza mai metterle in contraddizione.
La contraddizione è la decisione tra cose che si escludono vicendevolmente (bene e male, vuoto e pieno, chiaro e scuro, il sì ed il no). Invece

«Le coppie di opposti sono unità. Non meccanica, ma vivente. Non nel senso che l’uno venga appiattito, assimilato all’altro. Ognuno resta nella sua forma particolare […]. L’unità non consiste nell’esistenza,
poniamo, giustapposta dei due opposti, nel loro essere [solo] legati fra loro. Si tratta di reale unità, talmente stretta e intima che nessuna delle comparti può esistere o essere pensata senza l’altra. Ognuna coesiste, non solo, ma inesiste nell’altra. Proprio questa è l’unità vivente».
(L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente, Morcelliana, Brescia 2007, pag. 151)

Proviamo allora a lasciarci interpellare da questa affermazione tratta dal Libro dei Salmi, precisamente dal Salmo 85: «Giustizia e pace si baceranno».
Non giustizia da sola, non pace e basta: come se si trattasse di due entità autonome, da scegliere se sei di destra o di sinistra, se stai con la Nato o con l’ONU …
Non prima la giustizia e poi di conseguenza la pace: come si pretende di fare in questi mesi nei due sanguinosi teatri di guerra ai confini dell’Europa che sono Ucraina e Medio Oriente.
Non “per cortesia, lasciateci in pace! Alla giustizia ci penserà qualcun’altro”: sogno proibito di chi vive schiacciato nella sua micro realtà di benessere, senza la capacità di prendersi cura del mondo e senza uno sguardo sul futuro

Invece, sì! Come il bacio è esperienza antropologica universale così, suggerisce il testo biblico, è proprio necessario che giustizia e pace si cerchino nel desiderio prima o poi di baciarsi: si apre lo spazio per una attesa trepidante dell’incontro; segue un tempo in cui si potrà gustare il dolce ricordo del bacio.

Infine, ultima osservazione, il testo è preso da un Salmo: cioè si tratta di una preghiera. Il che significa almeno questo: affinché giustizia e pace giungano a baciarsi, non è sufficiente fare affidamento solo sulle nostre forze. L’incontro tra giustizia e pace non è un evento “umano troppo umano”, ma riflesso della grazia di Dio invocata ed operante nella storia. Grazia che va invocata.

Leggiamo ancora qualche versetto del Salmo 85, che nella tensione fra a giustizia e pace innalza questa preghiera:
9 Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con fiducia.
10 Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.
11 Misericordia e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
12 Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.

Forse tutti ricordate “Il mestiere di vivere” di Cesare Pavese, bellissimo diario che apre uno squarcio sulle profondità del cuore umano: una catena di considerazioni in cui domina la consapevolezza che l’animo umano è strutturato come “attesa”.
Il 27 novembre del 1945 Pavese annota:
«Com’è grande il pensiero che veramente nulla a noi è dovuto.
Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?».

Perché attendiamo che giustizia e pace prima poi si baceranno? Perché è più vera l’attesa che la cospirazione contro di essa? La si potrà seppellire sotto sotto mille distrazioni o pregiudizi, sotto mille obiezioni, ma niente la potrà cancellare. Come mai il nostro cuore ci suggerisce questo?
Forse perché è nell’attesa di avvenimenti come l’incontro tra giustizia e pace che si documenta la struttura della nostra natura di persone, l’essenza della nostra anima. Proprio perché in cuor nostro sempre attendiamo (sotto un meraviglioso cielo stellato o al mattino della nostra giornata), è lecito interrogarsi su chi ha fatto l’uomo e da dove viene questo anelito.

Concludo sostando ancora un poco su di un’ultima questione: che succede quando l’attesa che giustizia e pace si baceranno è compromessa da una colpa personale? Quando a causa del mio comportamento personale, delle mie scelte, è chiaro che in cuor mio giustizia e pace sono impedite ad incontrarsi? Quale strada percorrere per riabilitarmi a sperare?

Vi propongo ancora le parole di don Romano Guardini, che nel 1963 dedica una pubblicazione al tema “Virtù. Temi e prospettive della vita morale” e fra le righe della postilla al testo titolata: “La giustizia davanti a Dio” così provoca l’intelligenza ed il cuore dei suoi lettori:

«La colpa non è qualcosa che mi stia appeso come un vestito; non è neppure una mia qualità che potrebbe essere anche diversa, ma è qualcosa di fuso con il mio io con il rigore il cui nome è “responsabilità”. Io non posso assolvermi della mia colpa, anche se essa mi schiaccia, ma devo pagare per essa.
[…] Giacché nella colpa – e questo fa la sua profondità massima – sta non soltanto la mia disgrazia, ma anche, abusata senza dubbio, la mia dignità, dato che “colpa” può essere soltanto ciò che si commette nella libertà, vale a dire nella dignità della persona. Nasce così la domanda: è mai possibile che questa colpa mi venga tolta nel modo
indicato dal messaggio della salvezza, cioè per mezzo di “un Altro”, di Gesù Cristo?»
Virtù. Temi e prospettive della vita morale, Morcelliana, Brescia 2008, pag. 220)

Se avremo modo di rivederci a lezione, sono sicuro che non mancheranno argomenti di confronto. Buon anno accademico!

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