Violenza di genere, discriminazione in quanto appartenenti alla comunità LGBTQ+ e difensori dei diritti umani, ma anche sfollati a causa del cambiamento climatico
di Binaca Leonardi – Questi sono i veri motivi che i giudici di Roma hanno scritto, nero su bianco, per permettere ai 12 migranti trasportati in Albania di far ritorno in Italia. Adesso infatti si trovano a Bari, in un centro per richiedenti asilo – nonostante gli sia già stato negato l’asilo dalle commissioni territoriali – e potranno presentare ricorso entro due settimane per poi rimanere nel nostro Paese fino alla fine dei procedimenti. A firmare i documenti ufficiali, di cui Il Giornale è in possesso, è stata la presidente della sezione, il giudice Luciana Sangiovanni. Proprio lei che nella nota stampa, subito dopo la non convalida dei migranti nel centro albanese aveva scritto: «È impossibile riconoscere come Paesi sicuri gli Stati di provenienza delle persone trattenute». Una frase che ha scatenato il caos tra governo e quella magistratura amica del Pd.
Ma le carte, quelle ufficiali, raccontano ancora di più: la Sangiovanni ha infatti redatto ben 12 decreti, quanti sono i migranti arrivati in Albania, tutti uguali, con gli stessi riferimenti normativi, senza nemmeno cambiare una virgola. Ciò che cambia sono le motivazioni per cui non è stato possibile il trattenimento degli uomini: tutti temi cari ai compagni della sinistra.
Per i cittadini bengalesi sono stati scelti i due grandi classici del politically correct targato Pd: le discriminazioni LGBTQ e il cambiamento climatico.
Infatti il Paese di origine dei trattenuti, cioè il Bangladesh, «è definito Paese di origine sicuro ma con eccezioni per alcune categorie di persone» – si legge sul decreto di non convalida – «gli appartenenti alla comunità LGBTQ+, vittime di violenza di genere incluse» per poi finire con gli «sfollati climatici».
Per l’Egitto la solfa non cambia molto ma «è definito Paese di origine sicuro ma con eccezioni per alcune categorie di persone: oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani».
In pratica i giudici hanno stabilito che i bengalesi arrivati in Albania sono vittime di violenze di genere e sfollati climatici, mentre gli egiziani dissidenti e attivisti per i diritti umani che rischiano la propria vita nel loro Paese.
Lo ha deciso la magistratura, così, in 48 ore, dividendo tra omosessuali e attivisti persone che non hanno il diritto di stare in Italia, solo per il gusto di fare lo sgambetto a un governo che non piace all’altra gamba dei giudici e cioè l’opposizione di sinistra.
Un altro escamotage che sicuramente i leader della sezione migranti del tribunale di Roma rilanceranno dicendo che si sono semplicemente attenuti alle leggi. Infatti, le nostre norme ben spiegano che si deve «tutelare le specifiche situazioni personali del singolo richiedente protezione internazionale a prescindere dal Paese di provenienza».
Dovremmo quindi pensare che il team dei magistrati, in primis Silvia Albano, abbiano parlato e intrapreso una
profonda conoscenza con i 12 migranti, a migliaia di km di distanza e in nemmeno due giorni, tanto da sentenziare l’impossibile ritorno nel proprio Paese di origine in quanto dissidenti, sfollati climatici, queer, gay o trans.
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