Una campana per la raccolta del vetro rovesciata per terra. Comincia così la notte del grande assalto, in via Flavio Stilicone, a Cinecittà, a Roma
di Claudia Osmetti – Ci sono le bottiglie che ruzzolano per strada, i cocci rotti, taglienti e c’è una cricca di latinos con intenzioni non molto pacifiche. Ce l’hanno, però, questi sudamericani con le scarpe da ginnastica e le felpe slacciate, con i residenti bengalesi del quartiere. Cosa abbia fatto scattare la miccia (e precisamente quando) vai a saperlo: fatto sta che gli scontri, le incomprensioni, pure le mani vanno avanti da tempo. Giovedì sera, sono da poco passate le 21.
È buio. Quelle bottiglie di birra riverse sul marciapiede diventano un’arma. Qualcuno dai balconi riprende la scena: un gruppo di ragazzi peruviani comincia a scagliare quello che trova davanti a un negozio gestito da un cittadino originario del Bangladesh. Una, due, in pochi secondi i lanci manco si contano. Un uomo col piumino nero avanza brandendo un bastone (o forse è una spranga?), sembra lungo almeno un metro. La fa roetare per aria e avanza lentamente. Poi, improvvisamente, indietreggia. Lui viene colpito da un oggetto rosso, con ogni probabilità una cassetta di plastica, epperò va avanti, imperterrito.
Le grida fanno accorrere alla finestra gli abitanti della zona: loro, chiusi in casa, ai piani alti dei palazzi, parlano di «una guerriglia urbana di cui siamo le vittime», mentre gli altri, giù, per la via, se le danno in ogni modo possibile. Addirittura a un certo punto sbucano dei coltelli. Non si riesce (e non si riuscirà nemmeno il giorno dopo) a capire cosa inneschi quella maxi-rissa che coinvolge una decina di stranieri, è altrettanto difficile stabilire chi inizi per primo e chi si stia solamente difendendo, ma un dato, quello sì, pare certo: non è la prima volta che uno “scontro razziale” del genere mette paura a un quartiere della capitale. Dietro, probabilmente, e più in generale, va ravvisata una sorta “conflitto etnico” per il controllo di alcuni esercizi commerciali.
I sudamericani di Cinecittà (da qualche settimana alcuni di loro stanno occupando abusivamente degli immobili dell’aerea, sono appena stati sgomberati da un ex hotel nel quale vivevano alla stessa maniera, cioè illegalmente) e i bengalesi di Roma, che mica stanno tutti a Torpignattara come in Bangla.
La religione c’entra zero, qui. Le differenze culturali men che meno, le ramificazioni sul territorio (evidentemente) di più: anche perché, a Cinecittà, intervengono prima i carabinieri che allontanano i latinos, ma neanche tre ore dopo, cioè intorno a mezzanotte, è lo stesso caos, tanto che questa volta arrivano invece le volanti della polizia e gli identificati sono sei (tre uomini e una donna peruviani, nonché altri due bengalesi), i feriti due (il gestore del minimarket oggetto della “spedizione punitiva” e un un suo amico che si trova nel negozio)
Gli abitanti delle vie limitrofe si sfogano chiedendo sui social: «È normale che un intero quartiere sia stato ostaggio tutta la notte di queste bande di criminali? Per avere un presidio fisso ci vuole la rissa con il morto?». Non è la prima volta, non è la prima “guerriglia d’importazione”, non è neppure un fenomeno esclusivamente romano. Gang straniere che si fronteggiano, bande più o meno armate di cittadini non italiani che non si sopportano, cosche forestiere con attriti da litigi infiniti: continuano persino quando finiscono al gabbio (ad agosto, nel carcere di Torino, una rappresaglia di massa tra detenuti marocchini e albanesi ha mandato all’ospedale, con rispettivamente una prognosi di venti e sei giorni, due agenti della penitenziaria); esplodono sui mezzi di trasporto pubblici (a luglio, ancora a Roma, sui vagoni della metro A, un tentativo non riuscito di borseggio si è tramutato in una maxi rissa tra sudamericani, di nuovo, e albanesi, di nuovo pure loro, conclusasi con cinque arresti e anche tre minori denunciati)
Non lasciano in pace le notti di chicchessia (a maggio, a Palermo, un’ennesima super-rissa tra cittadini tunisini e cittadini bengalesi, iniziata con semplici insulti reciproci, è terminata con un uomo armato di coltello e un tentativo di aggressione sedato dalle forze dell’ordine); e preoccupano i tanti residenti tranquilli (pure quelli stranieri, sia chiaro) che sono costretti a sorbirsi ogni volta la stessa tiritera.
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