di Luca Fazzo – «Erano anni che Vernengo pascolava indisturbato per Rozzano. Agli occhi dei rozzanesi gli era concesso perché i carabinieri avevano paura di prendersela con un mafioso del suo calibro. In realtà, i carabinieri lo avevano già denunciato più volte, ma nessuno era stato così sventato da scrivere quello che io scrissi al Magistrato di Sorveglianza. E questo ci porta, inevitabilmente, a un’altra considerazione ineccepibile: l’ignavia e/o la noncuranza della magistratura provocano dei danni sociali irreparabili. Perché delegittimano e rendono ridicolo chi è chiamato a salvaguardare l’ordine e la sicurezza pubblica».
Basterebbe questo passaggio a capire perchè il libro che questa settimana è in vetta alla classifica di «Il mio libro», i volumi auto-pubblicati dagli autori su Kataweb, stia destando grande interesse e solenni arrabbiature: soprattutto all’interno dell’Arma dei carabinieri. É un libro che trasuda affetto, dedizione, per gli alamari della Benemerita. Ma ne racconta anche i lati meno gradevoli, la burocrazia prevalente, l’opportunismo. E punta il dito contro un altro potere forte, da sempre legato all’Arma: la magistratura. Il teatro di tutto: Milano e poi Rozzano, le città dove l’autore ha lavorato come sottufficiale per decenni.
Il libro si intitola Toghe e feluche ed è firmato da Massimiliano Filiberti, maresciallo, in pensione da un anno. Nome in codice, «Chimico». Un investigatore vecchio stampo che ha battuto le piste della malavita organizzata prima che diventasse di moda: e che racconta con devozione i suoi esordi in via Moscova, alla scuola di sottufficiali mitici come Pippo Mondello e Mario Dolcemaschio. Poi ci sono gli ufficiali incrociati in questi anni. Di alcuni – Paolo La Forgia, Andrea Chittaro, Carlo De Donno – «Chimico» parla con rispetto. Di altri, con nome e cognome, dice cose pesanti. Ma a non andargli giù, a fargli sentire il congedo come un sollievo, è quella che descrive come una mutazione genetica dell’Arma, dove trovi ufficiali ai massimi livelli che, nei fatti, non hanno mai conosciuto l’Arma. Tutta gente da stato maggiore che, tradotto in termini spicci, significa: carriere costruite in ufficio».
L’Arma amata e vissuta da Filiberti è quella che sa come fiutare una traccia, arruolare confidenti, tirare le fila. Vale quando si dà la caccia a bande di rapinatori come gli autori del grande colpo alla Verga di via Mazzini, che si rivelano professionisti seriali e pericolosi. Quando si pedina per settimane Mario Savio, «Marittiello o’Bellillo», ras dei quartieri spagnoli di Napoli arrivato a conquistare Milano. Quando si lavora a incastrare criminali feroci come Chicco Pagani:
«Lo sa perchè Pagani dopo vent’anni di carcere è tornato a fare il boss a Rozzano? Perchè è un pazzo, capace di uccidere una persona senza battere ciglio. Ha il cervello di un criceto ma non ha alcuna paura di uccidere». Quando ci si imbatte in personaggi da film come Vittorio Hannan, elegantissimo e poliglotta presenza fissa dei grandi traffici di droga. Quando si arriva troppo tardi per sventare un delitto annunciato, come la morte del nomade Riccardo Fross, ucciso nel 2006 nel campo di via Stephenson: un delitto rimasto impunito, anche se «Chimico» sa che a sparare furono i vecchi boss della Comasina. Ma ammazzarono la persona sbagliata.
Della lotta al crimine, il vecchio maresciallo conosce le sottigliezze e i compromessi. Racconta senza scandalizzarsi la trattativa sottobanco che portò alla liberazione di Alessandra Sgarella, l’ultimo ostaggio milanese dell’Anonima sequestri. Ha parole quasi di devozione verso gli ufficiali dell’Arma come Mario Mori che hanno pagato con processi infiniti la loro battaglia contro la mafia. Ma altri proprio non gli vanno giù: come l’ufficiale che in piena pandemia lo costrinse in piena notte a accertare – chissà perchè – se Beppe Marotta era ricoverato in ospedale.
E poi ci sono loro, i magistrati della Procura di Milano: quelli che «Chimico» sopporta di meno, con eccezioni che si contano sulle dita di una mano (Alberto Nobili, Gianni Griguolo, e pochi altri). Sono i magistrati che non leggono neanche i rapporti, che rifiutano di arrestare, che rispediscono indietro gli appunti non graditi.
E poi: «A Milano il turno esterno” tocca ai pm una volta ogni tre mesi. E siccome i pm lo sanno con notevole anticipo quando gli toccherà quel cazzo di turno esterno, ci si aspetterebbe che quel giorno si liberassero da ogni impegno. No, non è così. E allora ti senti persino rispondere mi sta disturbando perchè ora sono a cena fuori, mi richiami tra un’ora“. E tu lì, a girarti i pollici per un’ora, perchè magari il pm è a Brera a fare un apericena».
No, non piacerà a tutti il libro del maresciallo Filiberti.
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