Sarà vera Autonomia Regionale? Purtroppo no

Calderoli

Non ci sarà alcuna vera autonomia, se non limitata a pochi settori che andranno nella direzione di burocratizzare ancora di piú i già complessi carrozzoni regionali

di Daniele Trabucco – L’entrata in vigore della legge ordinaria dello Stato 26 giugno 2024, n. 86 (c.d. “legge Calderoli”) sta animando, com’era prevedibile, il dibattito politico, inasprendo il confronto tra le Regioni italiane che hanno avanzato la richiesta di “forme e condizioni particolari di autonomia” ai sensi del comma 3 dell’art. 116 della Costituzione (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) e quelle dell’Italia meridionale (ad esempio, la Campania, la Calabria etc.) che temono un contraccolpo dall’attuazione del regionalismo differenziato. Sul punto siano consentite tre brevi considerazioni:

1) la maggioranza parlamentare di centro-destra, che sostiene da ottobre 2022 il Governo Meloni, non é compatta sull’argomento. Tranne la Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia tengono un atteggiamento molto poco entusiastico, prudente ed in alcuni casi con manifestazioni di riserve. Ovviamente, l’approvazione della legge n. 86/2024 consente un percorso parlamentare certamente piú tranquillo per la riforma costituzionale concernente il “premierato” (che, in realtà, al di là dell’elezione a suffragio universale e diretto, non rafforza in alcun modo, nella compagine governativa, la posizione del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore);

2) la legge sull’autonomia non riguarda direttamente l’autonomia, ovvero il conferimento di maggiori competenze legislative ed amministrative con le relative risorse dallo Stato alle Regioni ordinarie richiedenti, limitandosi ad attuare, malamente, l’art. 116, comma 3, Cost. con l’introduzione di un percorso molto piú complesso, in termini procedurali, rispetto alla linearità della norma costituzionale e con la facoltà, in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri (il regalino di FDI), di sottrarre dal negoziato Stato-Regioni alcune materie rilevanti;

3) nessuno si é mai posto il problema della congruità del mezzo rispetto al fine. Detto diversamente, l’art. 116, comma 3, del Testo fondamentale, introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 di modifica del Titolo V, garantisce una vera ed autentica autonomia?

Ora, a parte il fatto che, durante l’iter parlamentare, la Lega votó contro in entrambe le deliberazioni, la novella costituzionale, voluta dall’allora centro-sinistra, si presenta come un tentativo frettoloso di “risposta federale” di fronte alle richieste prima secessioniste e poi federaliste della Lega bossiana di inizio duemila. L’art. 116, comma 3, della Costituzione non conferirá alcunché di autonomia, ma solo frammenti di competenze e sempre sperando che lo Stato non usi il “gioco delle tre carte”, come in parte avvenuto con le pre-intese di febbraio 2018, ossia non attribuisca alla Regione una competenza che già dispone utilizzando peró una diversa materia.

Le materie, lo insegnava negli anni ’70 del secolo scorso il prof. Livio Paladin, sono “pagine bianche” i cui contenuti sono stati riempiti sia prima, sia dopo la riforma del 2001, dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Lo stesso giudice delle leggi ha messo in evidenza come, all’interno delle c.d. “materie”, si rilevano ambiti complessi, molti dei quali, in base ai criteri di uniformità, prevalenza, chiamata in sussidiarietà etc., richiedono la loro allocazione a livello statale.

A questo si aggiunga che alcune materie, ad esempio la “tutela dell’ambiente” che l’art. 117, comma 2, Cost. riserva allo Stato in via esclusiva e che le Regioni possono negoziare in base al comma 3 dell’art. 116 Cost., sono “smaterializzate”, cioé sono valori (e non materie in senso stretto) che Stato e Regioni sono chiamati a realizzare negli ambiti di loro pertinenza. Detto in modo ancora piú semplice, l’eventuale intesa Stato-Regioni sconta inevitabilmente l’ipoteca dei criteri stabiliti da Palazzo della Consulta.

In conclusione, dunque, non ci sarà alcuna vera autonomia se non limitata a pochi settori che andranno nella direzione di burocratizzare ancora di piú i già complessi carrozzoni regionali. C’era un’altra strada che, purtroppo, non é stata percorsa: la presentazione, ad opera dei Consigli regionali, di una proposta di legge costituzionale alle Camere (consentita dall’art. 121, comma 2, Cost.) per la trasformazione in senso federale dell’ordinamento costituzionale, rivedendo radicalmente il rapporto tra centro e periferia ed, al contempo, avviando una semplificazione dei livelli di “governo territoriale”.

Daniele Trabucco – Costituzionalista