TRIESTE – Più che le parole a preoccupare l’opinione pubblica cittadina dovrebbe essere il roboante silenzio delle istituzioni seguito all’amara constatazione espressa dal procuratore capo Federico Frezza. Intervenuto in questura in occasione della conferenza stampa convocata per spiegare i dettagli degli arresti legati all’aggressione di molo Audace del 4 agosto, il magistrato aveva messo nero su bianco un pensiero che molti degli addetti ai lavori sostengono da tempo. “E’ un fenomeno senza fine a cui rispondiamo con fatica. Comincio a essere preoccupato”, così Frezza, seduto accanto al numero uno di via del Teatro romano, Pietro Ostuni. Il fenomeno in questione è quello legato ai fatti di sangue commessi da stranieri che si rendono protagonisti, sempre più spesso, di episodi violenti dove vige “la cultura del coltello“.
Le ragioni stanno nei numeri
Non bastano, evidentemente, i molteplici richiami a mezzo stampa di chi, tra sindacati di polizia e prima linea delle forze dell’ordine, sostiene come la situazione sia difficile, se non addirittura inaffrontabile. Perché anche a TriestePrima sono stati numerosi gli appelli lanciati affinché le istituzioni – e i partiti politici su tutti, in questo il silenzio della sinistra “vicina” a determinati ambienti è più che assordante – prendano coscienza di quanto succede in città. Le ragioni stanno anche e soprattutto nei numeri. Frezza afferma che “non sembra esserci un effetto deterrente, alcuni vengono arrestati ma il giorno dopo ne arrivano altri” e nell’analisi complessiva la mente corre agli accoltellamenti e, più in generale, ai fatti di sangue che sempre più spesso avvengono in città.
Quella comunità di 1500 maschi adulti
L’escalation di violenza – in piazza Garibaldi anche nella tarda serata di venerdì 23 agosto è scoppiata una rissa tra albanesi e pachistani, con un giovane finito a Cattinara – porta con sé dati preoccupanti. Ad agosto di quest’anno si è già raggiunto il numero di accoltellamenti avvenuti nell’anno precedente (almeno stando a fonti di stampa, che potrebbero non conteggiare episodi che rimangono solo sulle scrivanie delle forze dell’ordine e della procura). La difficoltà ad entrare in quel mondo è palpabile. Ci sono, nelle parole del procuratore, “odi atavici di matrice etnica […] tra persone che convivono nelle stesse strutture”. E poi quel dato, “la comunità di 1500 maschi adulti” che rappresenta un fatto che di per sé “può creare delle tensioni”.
Manca la presa di posizione da parte di chi accoglie
Eppure, l’onda di silenzio che ha seguito le parole del procuratore non è passata inosservata. Il questore, a margine della conferenza, lancia l’idea di togliere il permesso di soggiorno ai minorenni che delinquono (una volta raggiunta la maggiore età). C’è chi vorrebbe la certezza della pena, regole e leggi più rigide per chi delinque, chi invece sostiene che il problema sia l’integrazione e via dicendo, in un continuo rimpallo di responsabilità di cui non si vede una fine. Ma a mancare sono soprattutto riferimenti e interlocutori autorevoli. Una presa di posizione sui fatti che coinvolgono i propri ospiti, anche da parte di chi accoglie, ogni tanto non guasterebbe.
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