di Ruggiero Capone – Durante l’appena trascorsa campagna elettorale europea hanno preso forma, nei meandri dell’alta dirigenza di Stato, le tante voci circa un golpe che farebbe cadere il Governo Meloni. Un vero e proprio colpo di Stato che, comunque in spregio del voto politico, permetterebbe ai poteri bancari europei di liquidare il capo dell’esecutivo, casomai sostituendolo con Antonio Tajani.
Quest’ultimo starebbe cercando in tutti i modi di manifestare la propria indisponibilità. Perché Tajani, anche se ha supportato la rielezione europea della presidenza Ursula von der Leyen schierandosi di fatto con la maggioranza Ue (popolari, verdi, socialisti e liberali), in Italia rimane ancorato al suo ruolo di vicepremier e ministro degli Esteri: pare non intenda in alcun modo succedere alla Meloni tramite una congiura, seppur istituzionalmente europea.
Dal canto suo Giorgia Meloni è andata incontro a tutti i desiderata di Bruxelles, cercando anche di diventare amica di Ursula von der Leyen e di tutto il gota istituzionale Ue. E pare non sia servito nemmeno vestire come la Ursula per convincerli a spalancare le braccia all’Italia: come del resto non ha giocato a favore del Governo italiano alcuna scelta filo europea e filo atlantica.
I poteri europei intenderebbero sbarazzarsi del Governo Meloni prima che s’insedi il nuovo inquilino della Casa Bianca, e per loro è indifferente si chiami Donald Trump o Kamala Harris. Il lasso di tempo che hanno a disposizione per far crollare l’Esecutivo italiano godrebbe della parentesi temporale di due mesi, da ottobre a dicembre. Obiettivo? Cucinare al Governo Meloni lo stesso trattamento che permise la caduta del governo “giallo-verde” per sostituirlo con quello “giallo-rosso”. Quindi cambiare in Italia la maggioranza senza passare per le urne.
Del resto, ricordiamo tutti la crociata europea contro l’allora ministro giallo-verde Salvini, soprattutto gli incidenti (speronamenti) causati dalle navi delle Ong: emblematico il caso di Carola Rackete, oggi eurodeputato, ieri comandante della Sea Watch che speronava un battello militare italiano, supportata nella sua “azione umanitaria” da vari potentati europei. Qualche giorno dopo l’incidente, lo scrivente spiegava da queste stesse pagine che Rackete non è una militante di sinistra qualunque, bensì una figlia dell’alta borghesia tedesca, con un padre allora ai vertici d’una società tedesca equivalente alla nostra Finmeccanica ed una madre con parenti alla Corte internazionale de L’Aia. Oggi Carola siede nel Parlamento Ue e supporta la presidenza von der Leyen.
Il ruolo della “stampa”
Se riuscisse il golpe contro l’Italia, in un sol colpo i poteri europei si libererebbero sia di Giorgia Meloni che di Matteo Salvini e di tutti i loro preposti nel Governo. E, nonostante l’indisponibilità di Antonio Tajani, i “golpisti istituzionali” non demordono: certi che il presidente Sergio Mattarella permetta un cambio di maggioranza come già avvenne col passaggio da Giuseppe Conte a Mario Draghi. Nella congiura, ieri come oggi, ha ruolo non secondario la cosiddetta “stampa istituzionale” (La Stampa, Corriere della Sera, Repubblica, La7 e pezzi di Rai e Mediaset): tutti che da mesi sparano a palle incatenate contro l’esecutivo italiano.
Ma a chi rispondono editori e solite firme?
È evidente che il “report Ue” che descrive la mancanza di libertà di stampa in Italia sia stato ordinato e recepito da un potere europeo che, evidentemente, offre coperture ai giornalisti e sponsorizzazioni internazionali agli editori. Se non fossimo nell’Unione europea, ed invece lo scenario si consumasse nel 1915-1918, gli autori italiani della congiura rischierebbero la fucilazione alla schiena nel perimetro di una caserma: oggi possono invece giustificarsi dicendo di aver tradito l’Italia e gli italiani (gli elettori) per il maggior ideale europeo. Giustificazione deboluccia, ma che rende l’idea di cosa abbia spinto i “poteri bancari europei” ad accelerare sul golpe.
La patrimoniale respinta
In primo luogo, i potentati economici che supportano la von der Leyen non hanno gradito che, il governo Meloni sin dal suo insediamento abbia bocciato una maggiore tassazione, in seguito anche respinto l’introduzione di una patrimoniale da aggiungersi ad Imu ed altre tasse. Poi, c’è che Fratelli d’Italia e Lega si sono rivelati un ostacolo all’agenda “green” voluta dalla presidenza europea: invece una maggioranza sul tipo di quella che regna a Bruxelles si atterrebbe ai dettami “ambientalistici”. Quindi quelle maledette riforme sulla proprietà contadina, che l’Ue vorrebbe in Italia copiando le leggi che governano i diritti sui terreni nel centro e nord Europa: infatti in Germania, Olanda, Belgio, Danimarca, Svezia e Norvegia è possibile confiscare la terra agli agricoltori perché i terreni vengono concessi, e la concessione è un atto firmato del monarca. Mentre nella Repubblica Italiana i terreni sono di proprietà del contadino, che li ha comprati pagando mutui e facendo tanti sacrifici
. In Italia abbiamo la “Cassa per la Proprietà contadina”, organismo fondiario chiamato ad occuparsi della formazione delle imprese agricole gestite dai coltivatori diretti, servito nella seconda metà del Novecento a difendere la proprietà (la “diga bianca” dei campi, quando la “diga rossa” di Gullo e Togliatti ne chiedeva l’esproprio generale).
In Italia abbiamo avuto le leggi fatte da Amintore Fanfani (riforma, primo e secondo piano verde) tutte nella direzione di garantire la proprietà contadina. In Italia abbiano avuto il “piano casa” Fanfani che permetteva agli operai d’acquisire un diritto immobiliare, mentre la direttiva “case green” europea intende togliere case alla gente e terreni ai contadini.
A Bruxelles sanno bene che Giorgia Meloni non permetterebbe mai vengano strappati questi diritti, perché risulterebbe un atto contro l’intero elettorato di centro-destra (con ovvie ripercussioni elettorali). Ma ai poteri che supportano la von der Leyen serve vengano messi sul piatto risparmi e patrimoni degli italiani.
A chi governa l’Ue serve l’Italia copra circa 10 dei 50 miliardi di prestiti che Volodymyr Zelensky non potrà restituire. Ai poteri bancari europei urge un governo che bruci i risparmi degli italiani, che svenda gli ultimi asset strategici (compresi patrimoni ambientali, città d’arte e spiagge), che ipotechi le case, che riduca i posti di lavoro dirigenziale e che apra totalmente la gestione italiana ai manager stranieri. Per realizzare tutto questo disegno è iniziata la lapidazione di Giorgia Meloni, resuscitando sui giornali un neofascismo che gli storici sanno bene finito con la morte di Clemente Graziani e degli ultimi frequentatori di una associazione ispiratasi a Julius Evola.
Ironia della sorte, hanno pensato di cestinare questo governo guardando ad Antonio Tajani come successore: non è un mistero che il vicepremier e ministro degli Esteri sia nipote del maresciallo Pietro Badoglio, che firmava l’armistizio dell’8 settembre 1943 e prendeva il governo di mezza Italia.
Tajani, messo in mezzo suo malgrado come Badoglio?
Ma nemmeno per scherzo. Badoglio da buon militare e suddito della monarchia era costretto a dire “obbedisco”. Il vicepremier è cittadino della Repubblica e non ha alcuna intenzione di mettersi a fare il lavoro sporco per i “poteri bancari europei”, anzi cerca di mantenere in piedi un dialogo tra Bruxelles e Roma. Nella certezza che, se il governo scavallasse gennaio 2025, e Donald Trump tornasse alla Casa Bianca, i poteri alle spalle della von der Leyen avrebbero altre urgenze da sistemare: soprattutto l’asse franco-tedesco dovrebbe ridiscutere un po’ di accordi ed affari con Washington.
L’Italia non sarebbe più nel mirino di Bruxelles, o lo sarebbe meno, e probabilmente potrebbe finire la legislatura promettendo che finché ci sarà Giorgia “non praevalebunt”. Nel senso che non si può sopprimere Roma, l’Italia e la sua tradizione.
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Non sapevo fosse parente di Badoglio e questo aumenta di molto la mia simpatia umana nei suoi confronti. Ma come si permette di pretendere verifiche sui risultati elettorali di uno stato estero? Nessun venezuelano lo ha ancora preso a pernacchie? Male.