Assumendo come condizione del bene comune tanto le volontà individuali, quanto quella collettiva, si giunge inevitabilmente al nichilismo
a cura di Daniele Trabucco (*)
Il Presidente della Repubblica pro tempore, Sergio Mattarella, è intervenuto a Trieste in apertura della cinquantesima edizione della settimana sociale dei cattolici, tenendo una «lezione» sul concetto di democrazia. In particolare, il Capo dello Stato, in un suo passaggio, ha precisato come compito della democrazia sia quello di «elaborare una visione del bene comune in cui sapientemente si intreccino, perché tra loro inscindibili, libertà individuali ed aperture sociali, bene della libertà e bene dell’umanità condivisa».
Ora, l’affermazione presidenziale merita attenzione e richiede di soffermarsi sul concetto, usato ed abusato, di «bene comune». Dall’intervento di Mattarella pare emergere che questo risieda nell’insieme delle condizioni per lo sviluppo della persona, mediante il riconoscimento delle sue libertà individuali, che non sono fine a se medesime, ma funzionali, attraverso le «aperture sociali», a pervenire ad un progetto condiviso.
È sotteso, come si può facilmente evincere, il rapporto tra bene comune e patriottismo costituzionale, tra bene comune e democrazia moderna. Detto diversamente, è la società civile il criterio direttivo della vita democratica il cui unico limite, posto dalla dogmatica costituzionale, si rinviene unicamente nella necessità/doverosità di mantenere la possibilità di esistenza di ogni contenuto (diritto alla vita, ma anche eutanasia, aborto etc.).
Ne consegue, allora, che il «bene comune», nella prospettiva presidenziale, risulta modulare, anfibio, relativo, riempibile delle continue pretese della persona umana che, grazie al sistema normativo geometrico-legale, si trasformano in «diritti», in «libertà individuali» in nome del personalismo che sfocia nell’individualismo (da qui il richiamo di Mattarella all’art. 2 della Costituzione italiana vigente), e, al contempo, funzionale a plasmare «l’identità» di una comunità la quale è tale nella misura in cui si realizza evolutivamente, in cui vive delle continue «aperture sociali», determinando in questo modo una continua mutazione del concetto stesso di bene comune.
Non un accenno, invece, da parte del Presidente della Repubblica, all’autentico concetto di bene secondo il pensiero filosofico cattolico. Se il bene, come insegnava prima Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.) e poi san Tommaso d’Aquino (1225-1274), è ciò cui una cosa, un ente, tende per natura (negare questa evidenza significa ritenere che le cose non abbiamo delle finalità, ma questo è contraddetto dall’evidenza), allora il bene è sottratto alla scelta ed alla disponibilità sia delle persone, sia della stessa democrazia.
Precisa Aristotele nell’ «Etica a Nicomaco», una delle sue principali opere etiche suddivisa in dieci libri, che il bene comune è il bene proprio di ogni uomo in quanto uomo, in quanto sostanza razionale i cui fini sono inscritti nel suo essere, e, perciò, bene proprio della comunità, di quell’«umanità condivisa» cui fa riferimento il Capo dello Stato, dal momento che proprio la comunità è costituita da uomini e da altre società umane naturali (famiglia e società civile).
Non sono, infine, neppure condivisibili quelle tesi di ispirazione cattolica (ad esempio, A. SCOLA, Il significato del bene comune?, in Iustitia, n. 3/2012) che sostengono come il bene comune si manifesti nel «bene dell’essere insieme all’interno delle odierne società pluraliste». Infatti, non solo il bene non è tale in quanto condiviso o frutto di scelte collettive (basta che i più scelgano una cosa come bene perché questa diventi tale?), ne dipende dalla relazione, poiché questa può portare a qualunque fine, a qualunque risultato.
In conclusione, quindi, assumendo come condizione del bene comune tanto le volontà individuali, quanto quella collettiva, si giunge inevitabilmente al nichilismo (così Danilo Castellano), ovvero la vera essenza delle decantate «democrazie».
(*) Professore universitario strutturato in Diritto Costituzionale presso la SSML/Istituto di grado universitario «san Domenico» di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico.