Ci troviamo innanzi ad un’ipocrita narrazione sovranista che ha autorizzato la vendita di un asset strategico per il Paese
di Daniele Trabucco – In data 01 luglio 2024 la rete primaria e secondaria di TIM (che diventerá ora una societá di servizi) é passata al consorzio Necto il quale ha da questo momento, come socio di maggioranza, il fondo USA KKR e, quali azionisti di minoranza, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (16%), il fondo F2i (11,2%) ed altri coinvestitori di KKR. L’operazione del valore di ventidue miliardi di euro, autorizzata dall’Antitrust UE, mira ad investire maggiormente nella telefonia e nelle connessioni Internet, a sviluppare ulteriormente il mercato italiano ed ottenere dividendi con il potenziamento delle trasmissioni ultraveloci all’interno di un mercato ampiamente scalabile.
Insomma, per alcuni un grande risultato soprattutto se si considera la riduzione da 6,7 a 5,29 miliardi di euro dei fondi del PNRR per le reti ultraveloci. Tuttavia, al di lá dei trionfalismi, ci si dimentica il risvolto geopolitico e securitario della vendita: la rete Tim é la “spina dorsale” delle comunicazioni internazionali, unendo Europa, Medio Oriente, Africa settentrionale con la conseguenza che la vendita ci allinea completamente all’interesse statunitense dello sviluppo delle telecomunicazioni nel nostro Paese.
Ora, al di lá del fatto che Tim, non disponendo piú delle reti, dovrá pagarne l’utilizzo con inevitabile aumento del prezzo in bolletta, é la gestione pubblica delle reti stesse che, garantendo l’accesso a tutti, assicura una reale ed autentica concorrenza sul mercato alle societá di servizi.
É vero, da un lato, che il Governo Meloni, quello dei finti “sovranisti” cui ancora molti credono, nel febbraio 2024, essendo le reti rientranti nella disciplina del “golden power”, di cui al decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21 convertito con modificazioni nella legge ordinaria dello Stato n. 56/2012, ha posto alcuni paletti con la forma della prescrizione all’acquisizione (ad esempio, mantenimento in Italia dell’attivitá di ricerca e manutenzione) che dovrebbero assicurare allo Stato una supervisione generale, ma dall’altro é innegabile sia che le condizioni poste dal Governo in materia di governace ed organizzazione non siano particolarmente determinanti, sia che la vendita certifichi la resa dei poteri pubblici alla finanza ed alle sue logiche.
Ci troviamo innanzi ad un’ipocrita narrazione sovranista che ha autorizzato la vendita di un asset strategico per il Paese. Certo, si potrebbe obiettare che dal 1997, con la privatizzazione di Telecom voluta dal Governo Prodi, la societá é divenuta un bancomat per ricche plusvalenze finanziarie prima da parte dei capitalisti italiani e poi ad opera dei vari fondi esteri e che giá a partire da quel momento é stato messo in discussione il controllo pubblico della rete, tuttavia la scelta del Governo Meloni, anticipata da Draghi, ha segnato in modo definitivo il passaggio della proprietá e del controllo delle comunicazioni di un Paese alla potenza americana proprio in fase di forte crisi del modello unipolare.
Prof. Daniele Trabucco – Costituzionalista