di Daniele Trabucco – Se leggiamo l’art. 139 della Costituzione vigente, notiamo come esso affermi l’impossibilità, attraverso una legge di revisione costituzionale, di modificare la forma di governo repubblicana e pervenire ad una restaurazione della monarchia. L’azionabilità del procedimento dell’art. 138 del Testo fondamentale é preclusa in base alla tesi secondo la quale la Repubblica italiana non era sorta e non esisteva in virtù della Costituzione, ma dalla decisione del corpo elettorale manifestata in occasione del referendum istituzionale 02 giugno 1946. Non é questa la sede per discutere in merito alla regolarità delle operazioni elettorali, tuttavia l’argomentazione di cui sopra appare contestabile.
In primo luogo, la consultazione referendaria si pone semplicemente come un fatto esterno legittimante semmai l’esercizio del potere costituente, il quale si é esaurito con l’approvazione della Costituzione il 22 dicembre 1947.
In secondo luogo, in ragione di questo presupposto, l’art. 139, non venendo ad assumere un valore giuridico superiore a quello di qualsiasi altra disposizione costituzionale, non esclude il ricorso alla procedura revisoria ex art. 138. Come ben insegna il prof. Biscaretti Di Ruffia “quando la procedura stabilita dalla Costituzione per l’emendamento delle sue norme sia stata rispettata, nessun anello della catena della sua continuità giuridica risulterà mancante: nessuno hiatus, quindi, si sarà venuto a formare e l’evoluzione delle forme costituzionali avrà potuto svolgersi senza quelle scosse brusche, e sempre dannose, che sono rappresentate dalle instaurazioni di fatto, siano esse antigiuridiche o semplicemente agiuridiche“.
Ne consegue, pertanto, che una modifica della forma di governo in senso monarchico dovrebbe soggiacere ad un doppio grado di attività normativa: il primo, volto ad abrogare la disposizione dell’art. 139; il secondo, la nuova disciplina della materia precedentemente dichiarata intangibile.
All’obiezione mossa da una parte autorevole della dottrina e accolta anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 480/1989 circa la “non modificabilità in perpetuo del nuovo ordine repubblicano”, si può replicare che la sua abrogazione non si identifica per l’oggetto con la revisione strictu sensu della forma istituzionale.
Detto in altri termini, l’art. 139 può spiegare il suo effetto sull’iniziativa della revisione della forma repubblicana e, pertanto, quale limite espresso, rendere incostituzionale qualsiasi legge che tale revisione contempli, ma non può inibire l’abrogazione pura e semplice ad opera di una legge di revisione che rispetti l’iter aggravato dell’art. 138.
In terzo ed ultimo luogo, un eccessivo irrigidimento del Testo costituzionale implicherebbe un pre-giudizio, dogmaticamente assunto, per cui una forma di governo monarchico non sarebbe in grado di fronteggiare le imprevedibili pretese future della realtà sociale, relegando “autoritativamente” questo compito ad un modello di stampo repubblicano.
Prof. Daniele Trabucco – Costituzionalista