a cura di Daniele Trabucco (*)
Il Capo dello Stato pro tempore, Sergio Mattarella, davanti al corpo diplomatico accreditato in Italia e riunito in occasione della Festa della Repubblica, ha affermato che «tra pochi giorni, con l’elezione del Parlamento europeo, consacreremo la sovranità» dell’Unione Europea. Com’era ampiamente prevedibile, le dichiarazioni presidenziali hanno suscitato prese di posizioni molte nette, soprattutto da parte della Lega.
É legittimo, dunque, domandarsi se esista realmente una sovranità dell’ordinamento «comunitario».
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, fin dalle sue sentenze più datate (si veda la pronuncia 05 febbraio 1963, 26/62, van Gend & Loss), ha sempre sostenuto come il Trattato istitutivo della allora Comunità europea andasse «al di là di un accordo che si limita a creare degli obblighi reciproci fra gli Stati contraenti», precisando che la Comunità «costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini».
Inoltre, concludeva la Corte di Lussemburgo, la novità di questo ordinamento si rinviene nella presenza di «organi investiti istituzionalmente di poteri sovrani da esercitarsi nei confronti sia degli Stati membri, sia dei loro cittadini».
Una lettura superficiale della sentenza ed il massiccio trasferimento di materie e funzioni dagli Stati all’Unione Europea hanno portato a parlare addirittura di «sovranità condivisa». In questo contesto, le Costituzioni degli ordinamenti giuridici statali non perderebbero la loro identità, ma favorirebbero una maggiore opportunità di tutela dei diritti fondamentali.
Ora, al di là del fatto che si dovrebbero precisare le forme ed i gradi di questa condivisione, la tesi in esame non regge, rimanendo solo una visione ideologica propria di chi auspica un maggiore processo di federalizzazione. Infatti, nonostante il livello di evoluzione giuridico-istituzionale prima delle Comunità ed oggi dell’Unione Europea, in parte sollecitato dal «dialogo» tra le Corti costituzionali e la Corte di Giustizia UE ovvero al di fuori di qualunque legittimazione politico-democratica, la fonte ultima del diritto che l’Unione adotta e applica è data dalla fondante volontà degli Stati membri i quali, pur venendo condizionati dai Trattati sottoscritti (da ultimo quello di Lisbona del 2007), rimangono Stati sovrani e, come tali, possono recedere dall’Unione (art. 50 TUE) o modificare lo stesso Trattato, depotenziando il ruolo delle istituzioni comunitarie o riappropriandosi di alcune competenze.
Sul punto, come acutamente rilevato da una parte della dottrina costituzionalistica (Giuseppe De Vergottini che parla di «persistente sovranità» degli Stati), per quanto possa evolvere l’assetto dell’Unione Europea, questo non potrà mai condurre all’annullamento delle comunità nazionali/statali. Non è un caso, ad esempio, che il Tribunale costituzionale tedesco, in una serie di sentenze inerenti alla costituzionalità del Trattato di Lisbona, abbia affermato come il percorso di integrazione europea non solo debba avvenire in modo compatibile con il principio democratico, ma anche che non possa mai mettere in discussione l’identità costituzionale tedesca.
Al Presidente della Repubblica, che ricordiamo essere stato anche giudice della Corte costituzionale, si dovrebbe chiedere se non ritiene che l’art. 11 della Costituzione vigente, sul quale si è sempre giustificata l’appartenenza dell’Italia all’ordinamento comunitario (fin dalla sentenza n. 14/1964 Corte cost.) in ragione della espressa previsione delle «limitazioni di sovranità», non abbia in realtà introdotto surrettiziamente una procedura di revisione costituzionale alternativa all’art. 138 Cost. Dato che all’art. 11 (G. U. Rescigno) resta estranea una limitazione di sovranità stabilita una volta per tutte ed in modo permanente, come mai si è proceduto lo stesso con la legge ordinaria di autorizzazione alla ratifica, in luogo di quella costituzionale (come suggerivano Paladin, Esposito ed altri), dei diversi Trattati europei? Non ha certa dottrina «europeistica» forzato i dati testuali e sistematici (Donati)?
Infine, come mai, visto che i Trattati e le fonti vincolanti per gli Stati da esso previste (regolamenti, direttive, decisioni) traggono la loro forza giuridica non dalla Costituzione, bensì da semplici leggi ordinarie di esecuzione dei Trattati medesimi, si è arrivati, contro ogni logica giuridica (Guastini), a ritenere prevalenti addirittura sulle stesse norme costituzionali (ad eccezione dei principi supremi dell’ordinamento) tutte le norme europee dotate di effetto diretto?
Daniele Trabucco
(Professore strutturato in Diritto Costituzionale presso la SSML/Istituto di grado universitario «san Domenico» di Roma).