di Vincenzo Baldini – Leggendo giornali o navigando nel web attraverso i social, si ha l’impressione che tra i mestieri più praticati ci di questi tempi sia quello del “costituzionalista” che, con sapienza ed eloquio tecnico, seppellisce sotto una coltre spessa di critiche il ddl a firma Meloni-Casellati, per l’istituzione del Premierato. In tale ddl si ricoverano, cumulativamente, la seria minaccia ai valori costituzionali, alla tenuta dei principi supremi, alla dignità della persona ed ai diritti fondamentali, tanto da far ritenere la proposta in questione inammissibile alla discussione e alla deliberazione parlamentare.
Replicare a tali autorevoli considerazioni richiederebbe sicuramente una maggiore sapienza e autorevolezza accademica del replicante che chi scrive non si riconosce di certo, inoltre avrebbe forse bisogno di spazi ben più ampi di una breve chiosa su una pagina di giornale. Meno ardito può essere, invece, muovere da qualche asserto dogmatico difficilmente contestabile, in particolare avuto riguardo ai seguenti punti:
1. la forma di governo a monismo parlamentare rappresenta solo una delle possibili in quanto legittime declinazioni organizzative dello Stato democratico. Con quest’ultimo possono senz’altro rendersi compatibili anche altri assetti di governo, a valenza monocratica (presidenziale, semi-presidenziale, semi-parlamentare).
2. Quale che sia il nuovo modello organizzativo che l’odierno legislatore costituzionale intenda premiare, è necessario in ogni caso che la riforma assicuri un’articolazione bilanciata dei poteri fondamentali per non pregiudicare in alcun caso l’effettività dello Stato costituzionale democratico di diritto. Proposte di riforma sbilanciate sul versante di un Capo di governo elettivo devono pertanto includere soluzioni in grado di riallineare in modo coerente ed adeguato rispetto a tale opzione, il sistema delle garanzie costituzionali.
3. La legge costituzionale -come è noto- può senz’altro essere sottoposta al vaglio di costituzionalità per contrasto con i principi costituzionali supremi e irretrattabili, come affermato da tempo dallo stesso giudice costituzionale (sent. n. 1146/88). Non può negarsi, tuttavia, che la complessità procedimentale sottostante tale legge rende l’ipotesi di una censura del tutto astratta e remota, se non impossibile. Tanto più allorquando quest’ultima sia stata approvata con la maggioranza qualificata dalle due Assemblee legislative o abbia ottenuto il consenso attraverso il referendum popolare di cui alla disposizione ora menzionata (art. 138 Cost.). Difficile che di fronte ad un così ampio e/o diretto consenso democratico il giudice costituzionale insorga dichiarando illegittima la legge di revisione e vanificando, così, l’articolatezza della relativa decisione politica. Potrebbe obiettarsi circa l’incongruenza di tale considerazione sul piano giuridico-positivo, nondimeno tale eventualità va rappresentata come non del tutto peregrina sul piano dell’opportunità politico-costituzionale.
4. In fine, per ciò che concerne la forma di governo a monismo parlamentare va ribadito come essa ha rappresentato e rappresenta tuttora nell’esperienza della democrazia pluralista una soluzione mirata a conferire valore autonomo -rispetto alla deliberazione- al confronto in Parlamento degli argomenti a sostegno dell’uno o dell’altro tra gli interessi concorrenti. La razionalità democratica è perseguita e assecondata, nella specie, soprattutto attraverso la trasparenza di tale confronto degli argomenti (come direbbe Alexy). Di contro, gli assetti di governo a valenza monocratica premiano soprattutto le aspettative di semplificazione e di economia della decisione attraverso due modi essenziali: a)- l’investitura diretta di un Capo politico (dello Stato e/o di governo); b)- l’assolutizzazione della regola di maggioranza che l’organo elettivo in qualche modo ipostatizza e fa valere nell’azione di governo. Si realizza, in tal caso, il favore per un assetto di democrazia immediata “bilanciato” unicamente dalla diretta ed esclusiva responsabilità politica del Capo verso il popolo elettore.
L’alternativa che si intende proporre con la riforma costituzionale in questione è essenzialmente quella, dunque, tra diversi (e distanti) modi di essere e di realizzare la democrazia quale forma di legittimazione del potere. Nella scelta finale -probabilmente spettante al popolo con la consultazione referendaria- potranno rinvenirsi senz’altro frammenti di esercizio di potere costituente.
Vincenzo Baldini – Professore ordinario di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Economia e Giurisprudenza (DipEG) dell’Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale