“ha compiuto nulla più che un atto di solidarietà umana, coraggioso e doveroso, per evitare al fratello le immani sofferenze”
MILANO – Marzia Corini ha “compiuto il suo dovere di medico” ed anzi è tornata “in famiglia” solo “per assicurare ad uno dei suoi componenti un fine vita il meno doloroso possibile”. Lo scrive la Corte d’assise d’appello di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui ha assolto, il 27 marzo, dall’omicidio volontario con la formula “perché il fatto non sussiste”, la donna, anestesista e imputata con l’accusa di aver ucciso, il 25 settembre 2015, con un’overdose di Midazolam, un sedativo, il fratello Marco Corini, avvocato di vip e calciatori e che era malato terminale di cancro, nella sua casa di Ameglia (La Spezia).
Nessuna “mano esogena e criminale ne ha provocato il decesso”, scrivono i giudici (i togati Caputo e Anelli) nelle 148 pagine di motivazioni, “solo il suo incurabile morbo”. Corini a marzo è stata assolta nel processo di secondo grado bis a Milano, dopo che la Cassazione aveva annullato con rinvio l’assoluzione della Corte d’Assise d’appello di Genova, che aveva ribaltato la condanna di primo grado a 15 anni.
La Procura generale milanese aveva chiesto la condanna a 14 anni e 2 mesi di reclusione. “E’ una sentenza che colpisce per la profonda comprensione umana del gesto compiuto da Marzia Corini – spiega il professore e avvocato Vittorio Manes, che l’ha assistita col legale Giacomo Frazzitta – oltre che per il rigore giuridico con cui si ricostruiscono i fatti e le prove. La Corte d’assise d’appello di Milano, come già la Corte genovese – aggiunge – ha confermato con straordinaria convinzione e chiarezza che Marzia Corini, nel somministrare la dose di farmaco per la sedazione palliativa, ha compiuto nulla più che un atto di solidarietà umana, coraggioso e doveroso, per evitare al fratello le immani sofferenze che avrebbe patito nella fase terminale della gravissima malattia che lo affliggeva e che ormai lo stava conducendo al congedo dalla vita”. (ANSA)