La facoltá di recesso di uno Stato membro dall’ordinamento dell’Unione Europea é espressamente prevista nel Trattato di Lisbona del 2007, in particolare dall’art. 50 TUE
di Daniele Trabucco – Fino ad oggi solo la Gran Bretagna, a seguito del referendum consultivo del giugno 2016, ha avviato la procedura ed é uscita dall’Unione. Sicuramente per un Paese con la sua sovranitá monetaria il percorso, che comunque ha incontrato non pochi ostacoli politici da parte di Bruxelles durante la fase delle trattative, era un pochino piú facilitato rispetto a Paesi, quali l’Italia, facenti parte dell’euro zona e la cui politica estera (e non solo quella) é fortemente condizionata dalle scelte fatte a Washington.
É vero che gli Stati Uniti d’America non vedono favorevolmente un’Unione Europea forte, dal momento che questo significherebbe una riduzione della loro sfera di influenza, tuttavia non possono certo consentire che uno Stato fondatore (rectius: obbligato ad essere fondatore) delle Comunitá europee e dalle enormi potenzialitá come l’Italia esca con inevitabili conseguenze anche in termini geopolitici.
Questo quadro spiega molto bene, allora, le ragioni delle promesse mai realizzate da parte dei c.d. partiti politici sovranisti, Lega e Fratelli d’Italia in primis ma anche il Movimento 5 Stelle delle origini, che hanno sempre oscillato tra cambiamento della struttura dell’Unione da un lato e recesso dalla stessa dall’altro.
Ora, non solo nessuna delle due ipotesi si é mai verificata, ma, al di lá di qualche voto contrario (come, ad esempio, sulla direttiva inerente alle abitazioni “green” che gli Stati sono comunque chiamati ad attuare sul piano interno, pena l’avvio di una procedura di infrazione ad opera della Commissione), queste forze politiche hanno dimostrato tutta la loro debolezza ed inconsistenza politica.
Detto diversamente, Lega e Fratelli d’Italia, che hanno il coraggio di chiedere il voto in vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo fissate per i giorni 08 e 09 giugno 2024, non solo non lo meritano, ma una eventuale preferenza ad essi accordata equivale, ancora una volta, al mantenimento dello status quo.
Non si cambia l’UE né con Giorgia, né con Matteo (figurarsi con Tajani), ma sia con una classe dirigente degna di questo nome, sia con precise alleanze ed un piano economico (mi viene in mente quello proposto da MMT) per fronteggiare i rischi di inflazione, lo spread e le bizze dei mercati che verrebbero “azionati” per frenare qualunque velleitá di recesso.
Daniele Trabucco – Costituzionalista