Non si puó propriamente parlare di alcun progetto genitoriale tra persone dello stesso sesso perché manca l’aspetto primario, ovvero l’apertura alla vita
di Daniele Trabucco – La Corte di Cassazione, con sentenza n. 19559/2016, dando ragione alla ricostruzione ermeneutica operata dalla Corte d’Appello di Torino, ha ritenuto trascrivibile l’atto di nascita estero (non italiano) di un bambino dichiarato figlio di due mamme. Pertanto, alla luce del forte precedente giurisprudenziale, anche il “caso” che ha animato recentemente il Consiglio comunale di Belluno non poteva essere risolto diversamente da come avvenuto.
Un eventuale diniego avrebbe comportato la presentazione di un ricorso il quale, alla luce dell’orientamento della Suprema Corte, avrebbe certamente determinato la trascrivibilitá dell’atto. In particolare, ritengono i giudici, l’atto civile straniero non si pone in contrasto con l’ordine pubblico (é questa la verifica che deve essere preliminarmente effettuata ai fini della trascrizione) poiché non viola in alcun modo le esigenze di di tutela dei diritti fondamentali ricavabili non solo dalla Costituzione repubblicana del 1948, ma anche dalla CEDU del 1950 e dalla Carta di Nizza che é stata “trattatizzata” con il Tratto di Lisbona del 2007 e questo a prescindere dal fatto che la normativa interna riconosca o meno la specifica fattispecie.
Il “best interest” per il bambino (il miglior interesse che, nei casi Evans e Indi Gregory, ha condotto alla morte) consente, pertanto, di privilegiare la legge che attribuisce lo status di figlio del minore ex art. 33 della legge n. 218/1995 inerente al sistema italiano di diritto internazionale privato. Questa argomentazione opera ovviamente de iure condito, ossia sulla base del diritto positivo vigente.
Tuttavia a me pare che manchi un approccio di taglio filosofico, fondamentale per ragionare seriamente sulla tematica de qua. É accettabile, in altri termini, il principio espresso dalla Corte di Cassazione per cui é madre non solo colei che ha partorito a norma dell’art. 269, comma 3, del Codice civile italiano del 1942, ma anche colei che si ritiene tale nell’ambito di uno specifico progetto genitoriale?
Ora, a parte il fatto che, in questo contesto, pare ci si preoccupi poco del diritto del nascituro alla conoscenza delle proprie origini genetiche (la Corte costituzionale italiana, smontando pezzo per pezzo la legge ordinaria dello Stato n. 40/2004 sulla fecondazione medicalmente assistita in nome della “funzione dinamizzante dell’ordinamento”, lo ha preso in esame solo nella sentenza n. 278/2013), é evidente che non si puó propriamente parlare di alcun progetto genitoriale tra persone dello stesso sesso perché manca l’aspetto primario, ovvero l’apertura alla vita.
Il “rapporto genitoriale” che due persone dello stesso sesso intendono costituire é naturalmente infecondo e richiede, per essere attuato, il ricorso ad una fecondazione eterologa (non consentita in Italia per persone dello stesso sesso) o a forme di maternitá surrogata (dipende dai casi e dalle circostanze) in quei sistemi giuridici che le autorizzano in virtú del principio della relativitá degli ordinamenti giuridici.
All’obiezione che anche due persone di sesso diverso possono essere infeconde, va replicato che questo aspetto attiene ad una dimensione patologica e non naturale. Né, a riguardo, vale l’argomentazione dell’affetto che le “due madri” nutrono nei confronti del bimbo o bimba. Nessuno intende negarlo, ma all’origine di quel sentimento troviamo sempre il paradigma moderno della libertá negativa, ovvero l’autodeterminazione assoluta della persona che, grazie al sistema normativo geometrico legale coniugato allo schmittismo sociale, le consente di trasformare ogni desiderio in diritto. E fino a quando il “traffico insaziabile dei diritti” potra essere contenuto all’interno del “giardino delle istituzioni”? No allo “ius quia iussum” (no al diritto perché imposto), sí allo “ius quia iustum” (sí al diritto perché giusto).
Daniele Trabucco – Costituzionalista