di Daniele Trabucco – La tecnologia sembra offrire alla democrazia una sorta di rigenerazione dal basso: strumenti per contrastare l’efficienza declinante, la stessa prospettiva del voto elettronico (non contemplato nell’ordinamento costituzionale italiano) per ridurre l’astensionismo, un supporto al processo politico ed amministrativo grazie all’immenso spazio “pubblico-virtuale” della rete etc. Tuttavia, accanto all’allargamento della partecipazione si nascondono insidie pericolose quali i processi di manipolazione e controllo da parte di gruppi ristretti.
Il “fact-checking”
Pensiamo solo, a mero titolo esemplificativo, ai “Fact-checker”, che hanno il compito di verificare informazioni e dichiarazioni, ma che vengono finanziati dalle grandi piattaforme digitali (Facebook) le quali impongono determinate “regole di ingaggio”, condizionandone l’attivitá di monitoraggio.
Ora, nessuno ritiene che “il subiettivamente falso” sia ricompreso nella sfera dell’art. 21 della Costituzione repubblicana (Barile), che tutela la libertá di manifestazione del pensiero e di stampa, ma ció non vuol dire che la manifestazioni di fatti non rispondenti a veritá (e poi quale veritá?) sia vietata. Questi, semmai, non godono di copertura costituzionale e la peculiaritá del fenomeno richiederebbe l’intervento oculato del legislatore e non come avvenuto con il c.d. “Digital Service Act” (regolamento UE n. 2065/2022) che parla di lotta alla “disinformazione” senza spiegare in che cosa essa consista realmente, risultando eccessivamente vaga e discutibile la comunicazione della Commissione europea COM (2020) 790 che definisce la disinformazione come “un contenuto falso o fuorviante che viene diffuso con l’intenzione di ingannare o assicurare un guadagno economico o politico e che può causare un danno pubblico“.
Che cos’é un danno pubblico?
É un danno per il pensiero dominante e la sua neolingua? O é un danno per i poteri costituiti e le narrazioni che portano avanti? Ci troviamo, pertanto, di fronte ad uno strumento volto ad introdurre surrettiziamente una vera e propria “censura mascherata”.
Il rischio, allora, della tecnopolitica, come giá denunciava il prof. Stefano Rodotá (1933-2017), é quello della creazione di una societá della sorveglianza che orienta quotidianamente, mediante la “dittatura algoritmica”, l’opinione pubblica e le stesse scelte politiche. Da qui, allora, la necessitá di una “Bill of Rights” per muoversi nel cyberspazio. Quello che l’UE non vuole in nome della lotta alle sue “fake news”…
Daniele Trabucco – Costituzionalista