di Daniele Trabucco – Le dichiarazioni del Presidente della Corte costituzionale, prof. Augusto Barbera (ex Pci ed ex Pds), in merito alla necessitá del riconoscimento di una legge sul fine vita e sui figli delle coppie omogenitoriali, porta a riflettere sul ruolo assunto dall’organo di giustizia costituzionale nell’ambito della nostra forma di Governo parlamentare “a debole razionalizzazione”.
In particolare, non appare convincente l’idea che, di fronte all’ “inerzia” delle due Camere rappresentative, debba arrivare ad un certo punto un intervento “manipolativo” della Corte, eventualmente preceduto da una ordinanza di “illegittimitá costituzionale differita” (come avvenuto con l’ordinanza n. 207/2018, anticipatrice della sentenza n. 242/2019 relativa al c.d. “caso Cappato”) per ovviare ad una presunta lacuna del sistema normativo vigente in ragione della mancata approvazione di una legge ad opera del Parlamento italiano.
Il “silenzio” dell’organo legislativo, infatti, puó indicare una ben precisa volontá politica della maggioranza parlamentare e, dunque, di un chiaro indirizzo affinché il fine vita e il riconoscimento dei figli di due genitori dello stesso non sia consentito nell’ordinamento italiano.
Barbera, invece, con le sue dichiarazioni ed in perfetta linea di continuitá con molti suoi predecessori, certifica in modo chiaro che non é la Costituzione la regola per la societá, ma é la societá regola per la Costituzione le cui disposizioni devono essere costruite e consentire l’accoglimento di qualunque contenuto a patto di non toccare l’unico meta valore ritenuto assoluto: il continuo bilanciamento di interessi costituzionali contrapposti.
Detto diversamente, le affermazioni di Barbera sottendono una concezione “anfibia” e “modulare” del Testo fondamentale da realizzare evolutivamente in nome della “funzione dinamizzante” dell’ordinamento costituzionale.
La teoria della giustizia costituzionale (ossia il modello di controllo di costituzionalitá) é, come si puó ben vedere, l’anello di congiunzione essenziale tra la teoria della Costituzione da una parte e la teoria dell’interpretazione costituzionale dall’altra.
Vogliamo dirlo chiaramente: l’opera ermeneutica del giudice delle leggi si qualifica quale un vero e proprio potere costituente in seduta permanente (Cfr. Antonio Baldassarre). E non si obietti, sul punto, che il “colonialismo giudiziario” della Corte costituzionale opera, per utilizzare una felice espressione, “a rime obbligate”, cioé che essa si limita solo a “trarre dal sistema” la norma o le norme destinate a colmare le mancate previsioni censurate.
La serie “aperta” dei diritti inviolabili e l’accoglimento del principio personalistico (entrambi nell’art. 2 Cost.), che sottende la libertá negativa (Danilo Castellano), ovvero l’autodeterminazione di sé, portate alle loro estreme conseguenze, non solo hanno potenzialitá infinite, ma potrebbero paradossalmente condurre a disegnare una nuova architettura costituzionale in cui, soprattutto in presenza di temi etici, il ruolo del Parlamento sarebbe assorbito dalla magistratura e dalla Corte costituzionale in particolare (Cfr. Aldo Rocco Vitale). Forse, a qualcuno potrebbe pure piacere…dal momento che é giá cosí.
Daniele Trabucco – Costituzionalista