Insegnante morta dopo vaccino Covid, pm chiede rinvio a giudizio per 8 medici del Sant’Eugenio

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L’accusa per l’equipe di sanitari del pronto soccorso: «Non hanno valutato le complicazioni»

(https://roma.corriere.it) – ROMA – Stefania Cecca, un’insegnante delle elementari, è morta per un’emorragia cerebrale causata dal vaccino AstraZeneca il 9 aprile del 2021. Ora otto medici dell’ospedale Sant’Eugenio rischiano di finire sotto processo per non aver valutato due complicazioni – piastrinopenia ed embolia – sorte dopo la vaccinazione, che se diagnosticate in modo adeguato avrebbero aumentato le possibilità di sopravvivenza della vittima.

Il pm Pietro Pollidori ha, infatti, chiesto il rinvio a giudizio dell’equipe medica del pronto soccorso nel quale si è recata Cecca il 16 marzo del 2021, quando ha avvertito i primi malesseri. Gli imputati sono l’allora direttore del servizio, un’ematologa e sei medici che hanno visitato la donna tra il 16 e il 20 marzo. «La procura avrebbe dovuto indagare sui metodi adottati da AstraZeneca nella sperimentazione del vaccino – dicono gli avvocati Vincenzo Comi, Mario Scialla e Stefano Maccioni, difensori di tre imputati -, invece si è chiesto il processo per medici all’oscuro di casi avvenuti in Inghilterra di persone deceduta per colpa di questo vaccino. Vicende rese note solo di recente».

Diagnosi tardiva

È il 26 febbraio del 2021 quando Cecca si reca a fare il vaccino AstraZeneca. Passano dieci giorni e inizia a stare poco bene: spossatezza, problemi alla vista, respiro affannoso, mal di testa. La situazione peggiora, giorno dopo giorno. Così il 16 marzo si presenta al pronto soccorso del Sant’Eugenio. La prima cosa che riferisce ai medici è di soffrire di una «cefalea»: secondo il pm, a quel punto doveva essere disposta una Tac ed un esame angiografico per individuare la presenza di eventuali trombi. Inoltre, secondo l’accusa, le analisi avrebbero subito fatto emergere una diminuzione di piastrine. Poi, sempre secondo la Procura, la donna avrebbe avuto un’embolia, altro segnale che aveva avuto una trombosi venosa cerebrale. Che invece non è stata diagnosticata.

La trombosi polmonare

A complicare ancora il quadro clinico dell’insegnante, l’insorgere di una trombosi polmonare. Tuttavia, il pm accusa i sanitari per la mancata tempestiva diagnosi della trombosi cerebrale: se fosse stata scoperta con almeno sei giorni di anticipo si sarebbe potuto eseguire un intervento di decompressione della pressione intracranica. L’operazione è stata effettuata all’ospedale di Tor Vergata, ma a tempo ormai scaduto per salvarla. «I medici dovrebbe essere lodati per il lavoro svolto in quelle settimane», dice Daniele Bocciolini, difensore di un altro medico imputato.