Dopo una riunione, il gruppo di genitori ha deciso di sporgere una denuncia collettiva, ma qui si sono trovati di fronte a uno scoglio
(www.gazzettadireggio.it) – Reggio Emilia «Tramite quella che pare un’innocente chat di gruppo su Whatsapp, i nostri figli sono stati adescati da presunti pedofili. Se abbiamo deciso di rendere nota questa storia è perché la “chat dei mille” è tuttora attiva e conta 616 ragazzini partecipanti, molti dei quali reggiani: genitori fate attenzione!». È quanto afferma un gruppo di famiglie, con figli di età compresa tra i 12 e i 13 anni, che da una settimana sono in allarme.
La storia è quella, bruttissima, scoperta dalla mamma di un bambino tredicenne che, controllando il cellulare del figlio a sua insaputa, ha scoperto una chat dall’indubbio contenuto pedopornografico. Gli screenshot della mamma – che sono pervenuti in redazione e che non sono in alcun modo pubblicabili – sono un pugno nello stomaco: le immagini ritraggono bambini nudi, sesso esplicito tra minori, perfino framing death (letteralmente la “morte in diretta”) e persone squartate con abbondanza di sangue. Insomma il peggio della pornografia estrema, mostrata senza remore a utenti minorenni.
La mamma allibita ha interrogato il figlio, il quale ha candidamente raccontato di aver ricevuto l’invito di entrare nella chat da un compagno di classe e di esservi rimasto per qualche giorno. Una volta entrato, il tredicenne è stato esortato da persone non certo minorenni a mandare un suo selfie. E poiché la chat funziona come una catena di Sant’Antonio – cioè esorta gli utenti a invitare gli amici, perché l’obiettivo dichiarato (alquanto pretestuoso) è di superare il migliaio di partecipanti portando dentro gli amici – il tredicenne a sua volta ha invitato alcuni compagni di classe, sia femmine sia maschi. A questo punto è scattato il passaparola preoccupato tra genitori: tutti hanno verificato e indagato a casa propria. Èd è emerso che sono stati almeno otto i coetanei entrati in quella chat: alcuni hanno riferito ai genitori di aver inviato proprie foto, alcuni di essere rimasti nella chat limitandosi ad assistere e altri ancora di essere usciti sentendosi a disagio per il livello del dialogo a distanza.
È facilmente immaginabile la comprensibile agitazione delle famiglie interessate. «Per fortuna siamo un gruppo unito, viviamo nello stesso luogo e siamo subito corsi ai ripari: abbiamo fatto una riunione e ci siamo confrontati su come affrontare il problema. Questa è la dimostrazione che noi adulti non sappiamo cos’abbiano in mano i nostri figli. È allucinante che esistano chat del genere, che sotto un profilo all’apparenza innocuo raggiungono dei minorenni convinti di parlare con coetanei, quando è evidente che l’amministratore (ne figura uno, potrebbero essere più di uno) non è certo un teenager: questi criminali giocano sull’innocenza e sull’immaturità dei nostri figli. E non oso pensare che tipo di utilizzo si possa fare delle fotografie».
I pensieri foschi non finiscono qui. «Mio figlio ha detto di essere uscito dalla chat quasi subito – aggiunge un’altra mamma 50enne – Ma chissà se è la verità o se l’ha detto per tranquillizzarmi: sono pur sempre ragazzini. Tanto che sto pensando di cambiare il numero del suo cellulare per sicurezza».
Dopo la riunione, il gruppo di genitori ha deciso di sporgere una denuncia collettiva, ma qui si sono trovati di fronte a uno scoglio: «Abbiamo provato a rivolgerci alla polizia postale di Reggio, ma le denunce si fanno solo online – racconta la 40enne –. Poiché non sono un’esperta di internet e la questione è complessa, dopo diversi tentativi ieri sono riuscita a prendere la linea al telefono: mi è stato risposto che devono sporgere querela solo i genitori i cui figli hanno interagito nella chat o sono stati contattati direttamente. Un discrimine non immediato per noi, visto che i numerosi partecipanti usano dei nickname. Gli agenti della Postale mi hanno dato appuntamento entro la settimana».
«Quando accade un fatto del genere a tuo figlio non sai che pesci pigliare – aggiunge l’altra mamma –. Si fanno tante campagne informative e di sensibilizzazione rivolte ai genitori sulla necessità di vigilare ma quando persone comuni come noi, senza familiarità con la tecnologia, si imbattono in un fatto gravissimo e cercano di andare fino in fondo pare che nessuno sia in grado di intervenire con tempestività».
I tempi non sono un fattore secondario poiché se è vero – come hanno dichiarato i dodicenni e tredicenni torchiati – che di chat similari “a catena” ne esistono a bizzeffe, il timore appunto è che «intanto i giorni passano e questa chat resta aperta: qualunque ragazzino o ragazzina può caderci dentro in buonafede e assistere a immagini terribili o diventare bersaglio di richieste che, per i più fragili, possono avere conseguenze disastrose. Questi criminali possono contare sulla legge dei grandi numeri: puntano a pescare nel mucchio»