Le avrebbero fatte arrivare in Italia con la promessa di una vita migliore. Poi le avrebbero ridotte in schiavitù, le avrebbero ricattate con il vudù e le avrebbero obbligate a prostituirsi
“Maman” e suo marito – la donna che “gestiva” le ragazze e il compagno – sono stati condannati a 15 anni di carcere, mentre a chi si occupava di reclutare le vittime poi costrette a prostituirsi sono stati inflitti 12 anni di reclusione.
È la sentenza emessa nel processo sull’indagine della Dda di Milano per tratta e riduzione in schiavitù di giovani nigeriane “portate in Italia tramite il tanto noto quanto drammatico viaggio sui barconi non prima di essere state imprigionate e spesso violentate anche per mesi in Libia”.
I reati contestati vanno dal maggio 2017 al marzo 2018, tra la Libia e Melegnano, dove gli sfruttatori avevano a disposizione case in cui far vivere le giovani e piazzole sulla Binasca dove farle prostituire.
Le condanne sono state firmate dal gup Tiziana Gueli al termine del processo in abbreviato nei confronti anche di una quarta persona che invece è stata assolta. Il giudice accogliendo la richiesta del pm Paola Biondolillo ha poi disposto il rinvio a giudizio per due accusati solo di sfruttamento della prostituzione: per loro il processo si aprirà a Lodi il prossimo 15 maggio.
Gli imputati, tre uomini e due donne e tutti originari della Nigeria, furono arrestati nel dicembre 2022 durante un’operazione della Squadra Mobile lodigiana. Le vittime, identificate e sentite in incidente probatorio, sono state almeno quattro. Le quali “secondo un modus operandi rodato – si legge nelle carte dell’inchiesta -, dopo essere state accuratamente selezionate nel loro paese di origine vengono convinte a raggiungere l’Europa con la prospettiva di una vita migliore ignare del calvario che le attende“. L’indagine della Dda di Milano era partita dalla denuncia di “abusi” e “violenze” da parte della sorella di una delle giovani, le cui famiglie pagavano fino a 30mila euro per il viaggio.
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