In occasione della promulgazione, il Presidente puó esercitare un potere di rinvio alle Camere, con messaggio motivato, del testo della legge
di Daniele Trabucco – Il Presidente della Repubblica pro tempore, Sergio Mattarella, parlando ai rappresentanti della cassa di assistenza dei giornalisti, ha precisato come la promulgazione della legge istitutiva della Commissione parlamentare sulla gestione dell’emergenza sanitaria non significhi né condividerla nel merito, né non condividerla.
Ora, Mattarella ha ragione quando afferma che, con l’atto di promulgazione (art. 73 ed art. 87, comma 5, della Costituzione vigente), il Capo dello Stato attesta la concorde volontá dei due rami del Parlamento italiano i quali hanno approvato lo stesso identico testo (Paladin) in virtú del sistema bicamerale paritario senza che questo costituisca una valutazione di merito diversamente dal sistema operante nell’ordinamento statutario quando il Re era contitolare della funzione legislativa con le Camere e vi partecipava, sia pure nei fatti solo formalmente, con l’istituto della sanzione regia la cui negazione equivaleva ad un veto legislativo permanente.
Tuttavia, in occasione della promulgazione, recita l’art. 74 del Testo fondamentale del 1948, il Presidente puó esercitare un potere di rinvio alle Camere, con messaggio motivato, del testo della legge. Se, da una parte, é pacifico che il rinvio attenga ad evidenti profili di illegittimitá costituzionale, dall’altra la Costituzione non specifica l’estensione del potere in esame. Non a caso una parte della dottrina costituzionalistica ritiene che il “veto presidenziale” possa toccare anche profili di ordine sostanziale del provvedimento sia pure costituzionalmente ancorati per evitare un’indebita intromissione del Presidente della Repubblica nella discrezionalitá politica del Parlamento (ex multis Galeotti, Paladin, Pezzini).
Tuttavia, come anticipato, non si puó non rilevare che il testo dell’art. 74 della Costituzione non stabilisce alcun vincolo in ordine alle ragioni del rinvio (Vignudelli), mentre in altri casi, pensiamo alle funzioni della Corte costituzionale ex art. 134, il Costituente si é espresso in termini molto piú espliciti e chiari per indicare l’azione di determinati organi: il giudice delle leggi é chiamato a valutare, rispetto ai parametri invocati, la legittimitá costituzionale (e non altro) delle leggi e degli atti normativi aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni.
Pertanto, non si puó non concordare con quella letteratura costituzionalistica secondo la quale dal silenzio della “Carta” é lecito dedurre come sia possibile consentire al Capo dello Stato qualunque tipo di controllo senza limiti precostituiti. Questa interpretazione potrebbe ledere la asserita neutralitá del Presidente della Repubblica, ma in realtá sappiamo come questo organo costituzionale sia “elastico”, “a fisarmonica” come é stato definito, che opera con una Costituzione “a maglie larghe” dove il confine tra controllo di merito costituzionale e controllo politico é molto labile per cui spesso é difficile operare una netta e puntuale distinzione (Ruggeri).
Prof. Daniele Trabucco – Costituzionalista