di Daniele Trabucco – L’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale ed il rinnovo del Consiglio (36 seggi per la maggioranza) in Sardegna hanno visto la vittoria sul filo di lana (45,3%) del c.d. “campo largo”, ossia l’alleanza tra Partito Democratico ed il Movimento 5 Stelle. Il dato sardo, peró, in cui l’astensionismo ha giocato un ruolo importante, si presta ad alcune riflessioni che cerco di sintetizzare nei seguenti punti:
1) anche se nei voti di lista il centro-destra é in testa, la sconfitta del candidato Paolo Truzzu é la sconfitta di Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, che ha imposto il suo fedelissimo nonostante le perplessitá degli alleati, in particolare della Lega che puntava al secondo mandato di Solinas. Il voto del Comune capoluogo di Regione, Cagliari, é paradigmatico da questo punto di vista e pone anche per la cittá un problema di legittimazione;
2) la vittoria di misura di Alessandra Todde, favorita molto dal voto disgiunto, non deve essere eccessivamente enfatizzata. Infatti, il risultato positivo ottenuto é dovuto piú ai problemi interni alle forze di centro-destra, con una Lega/Salvini Premier infastidita anche per il recente no di Fratelli d’Italia al terzo mandato per i Presidenti delle Giunte regionali (si pone il problema di dove sistemare Luca Zaia dopo il 2025 come se una persona dovesse vivere solo di attivitá politica), che alla abilitá politica della vincitrice. Un fastidio che, stando ai dati, puó aver favorito il voto disgiunto;
3) le forze che si sono contese sono, in realtá, le due facce della stessa medaglia. Non c’é grande differenza tra centro-sinistra e centro-destra se non su aspetti marginali (la concessione o meno di un patrocinio ad un gay pride). Da qui la necessitá, posta in modo evidente da questa tornata elettorale, della costruzione di un’alternativa seria, autorevole, competente e credibile sia a livello regionale, sia nazionale con una selezione accurata della classe dirigente;
4) é indubbio che, nell’isola, il Partito Democratico sia quello che, con oltre 94.000 voti, ha ottenuto il risultato migliore seguito da FDI sotto i 92.000 e che la Lega, rispetto a cinque anni fa, ha visto un calo importante del consenso (l’effetto “Capitano” non ha portato neppure al 4%. Il trend negativo leghista parte dall’agosto 2019 con la crisi del Governo Conte I). Tuttavia, non dobbiamo dimenticare la portata ancora “locale” di questo tipo di elezioni dove, piú che alla dimensione programmatica, si guarda alla tipologia di candidato ed alla sua “empatia”;
5) la vittoria del “campo largo” se, da una parte, segna un successo per i pentastellati in quanto il Presidente della Regione é del Movimento 5 Stelle, dall’altro Giuseppe Conte ha subito un salasso elettorale non solo rispetto alle regionali del 2019, ma anche rispetto alle politiche del settembre 2022;
6) il forte astensionismo, aumentato rispetto alle precedenti regionali (al voto si era recato il 53,7% contro il 52,3% di domenica), pone ancora una volta la questione della legittimazione degli organi regionali neoeletti, confermando il trend delle “democrazie di minoranza” che pretendono di decidere per tutti.
In conclusione, l’esito del voto in Sardegna delinea un quadro magmatico con alcune conferme (crollo costante di M5S e Lega) ed alcune piccole crepe per la maggioranza di Governo, soprattutto per la scelta della classe dirigente del partito di maggioranza relativa. Vedremo il 10 marzo che cosa accadrá con il voto in Abruzzo dove anche lí il candidato é stato scelto da Fratelli d’Italia con i “mal di pancia” da parte leghista.
Prof. Daniele Trabucco – Costituzionalista