Roma, 14 feb. (Adnkronos Salute) – A beneficiare delle misure previste dal decreto Anziani predisposto dal Governo sarà il 24% della popolazione residente in Italia al primo gennaio 2023 (dati Istat), ovvero 14.181.297 di persone, di cui 9.674.627 nella fascia 65-69 anni (anziani) e 4.506.670 over 80 (grandi anziani).
“Un numero che secondo le proiezioni demografiche aumenterà nei prossimi anni, generando un progressivo incremento dei costi socio-sanitari“, ha sottolineato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, intervenuto questa mattina in audizione presso la X Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato nell’ambito dell’esame del decreto Anziani. “Infatti, secondo le proiezioni Istat al 2050 – ricorda Gimbe – gli over 65 sfioreranno quota 18,8 milioni (pari al 34,5% della popolazione residente), circa 4,6 milioni in più rispetto al 2022”.
“Sebbene formalmente inserite nei Lea, le prestazioni di assistenza socio-sanitaria, residenziale, semi-residenziale, domiciliare e territoriale sono finanziate solo in parte dalla spesa sanitaria pubblica. Un’esigua parte viene erogata dai Comuni (in denaro o in natura), mentre la maggior parte è sostenuta tramite provvidenze in denaro erogate dall’Inps”, ha osservato Cartabellotta.
Nel 2022, anno più recente per il quale sono disponibili tutti i dati – riporta Gimbe – alla spesa socio-sanitaria è stato destinato un totale di 44.873,6 milioni di euro, “una cifra totale sulla cui precisione – ha evidenziato Cartabellotta – pesano vari fattori: differenti fonti informative con variabile livello di precisione e accuratezza, possibile sovrapposizione degli importi provenienti da fonti differenti”.
In dettaglio: le prestazioni di assistenza sanitaria a lungo termine (Long term care, Ltc) hanno assorbito una spesa sanitaria di 16.897 milioni di euro, di cui 12.834 milioni (76%) finanziati con la spesa pubblica, 3.953 milioni (23,4%) a carico delle famiglie e 110 milioni (0,7%) di spesa intermediata (dati Istat). L’Inps ha erogato complessivamente 25.332,4 milioni di euro, di cui 14.500 milioni di indennità di accompagnamento, 3.900 milioni di pensioni di invalidità civile, 3.300 milioni di pensioni di invalidità e 2.432,4 milioni per permessi retribuiti secondo L. 104/92 (fonte 19° Rapporto Crea Sanità). E ancora: i Comuni hanno erogato 1.822,2 milioni di euro, di cui 1.200 milioni in denaro e 622,2 milioni in natura (Fonte 19° Rapporto Crea Sanità). Il Fondo nazionale per le non autosufficienze nel 2022 era pari a 822 milioni di euro (Fonte Servizio studi – Camera dei deputati).
“Ai quasi 45 miliardi di spesa socio-sanitaria – ha rimarcato Cartabellotta – si aggiungono i fondi per la non autosufficienza erogati dalle singole Regioni. Tuttavia, su queste risorse non esiste alcuna ricognizione effettuata da enti pubblici o privati e le risorse non sono stanziate in maniera continuativa in quanto i fondi regionali non sono strutturali, fatta eccezione per quello della Regione Emilia Romagna, che per il 2022 ammonta a 457 milioni”.
Sulle diseguaglianze regionali nell’accesso ai servizi socio-sanitari, il presidente di Fondazione Gimbe ha fatto notare che “il Nuovo sistema di garanzia che il ministero della Salute usa per monitorare gli adempimenti delle Regioni ai Lea dispone tre indicatori ‘core’ sulle misure contenute nel decreto”. Indicatori su cui le performance regionali documentano enormi diseguaglianze, rileva Gimbe. A fronte di una media nazionale di 40,2 persone per 1.000 abitanti, esistono notevoli differenze tra Regioni: da 144,6 persone per 1.000 abitanti nella Provincia autonoma di Trento ai 4,1 nella Campania. In generale, tutte le Regioni del Sud si trovano a fondo classifica e nessuna Regione supera i 20 assistiti per 1.000 abitanti. “Ovviamente – ha commentato Cartabellotta – questo dato è condizionato al ribasso dalla disponibilità di altre forme di assistenza per le persone non autosufficienti, in particolare l’assistenza domiciliare integrata”.
Capitolo a parte per le cure palliative. L’indicatore definisce il rapporto tra il numero di deceduti per tumore assistiti dalla rete di cure palliative e il totale dei deceduti per tumore. A fronte di una media nazionale del 28,4%, la variabilità regionale oscilla dai 56,2% del Veneto ai 4,5% della Calabria, rammenta Gimbe. “Su questo indicatore – ha puntualizzato Cartabellotta – va segnalato che, secondo i parametri definiti dal ministero, solo 5 Regioni risultano adempienti: Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Toscana e Veneto”.