The Beekeeper, il film tra giustizia e far west, tra crimine e politica
di Antonio Amorosi – “Adesso rado questo posto al suolo”. Il regista David Ayer è tornato con il film The Beekeeper, action movie interpretato da Jason Statham, da pochi giorni in sala grazie alla Miramax e per l’Italia alla Leone Film Group e la 01Distribution. Politicamente scorretto, un po’ pulp hardcore, un po’ fumetto ma tanto anarchico e adatto alle nuove generazioni, il film mostra che qualcosa si muove anche a Hollywood e dintorni: ora devi scegliere tra legge e giustizia.
Nel film, Stato e criminalità organizzata sono due facce della stessa medaglia, sembra di leggere Alex Comfort di Potere e delinquenza. Altro che trattativa Stato-mafia, Servizi deviati all’italiana e autori delle stragi che non si scoprono mai. Vediamo solo il 10% della realtà, forse. La criminalità ha la faccia pulita ed elegante dei rampanti big tech del nostro tempo e sa essere feroce come non mai.
Nel film Fbi, Swat e vari corpi speciali di polizia USA passano il tempo a parere le terga a chi ha il potere, il crimine, che invece, in questa America da b-movie è in mano al figlio della presidente degli Stati Uniti, finalmente una donna. L’uomo, con una serie di colossi informatici, truffa la povera gente sottraendo loro, tramite attacchi hacker mirati, i risparmi di una vita. Così ha raccolto i fondi per far eleggere la madre, donna chic e risoluta.
The Beekeeper
Jason Statham è Adam Clay, un apicoltore silenzioso che si attiva quando la sua amica Eloise Parker (Phylicia Rashad), un’anziana nera ex insegnante responsabile di un ente di beneficienza per bambini, viene truffata on line e per la disperazione si spara un colpo in testa. Clay è un “Beekeeper”, parte di un programma speciale al di fuori della catena di comando governativa che ha l’obiettivo di mantenere gli equilibri sociali. Come andrà a finire lo scoprirete voi.
Il potere è intoccabile, la giustizia non esiste, solo il nostro eroe, vestito sempre da operaio, regola i conti, facendo fuori tutti coloro che serve per arrivare al potere reale, l’unica cosa con la quale vale la pena confliggere, come un ispettore Callaghan dei nostri tempi. Una grande novità in epoca di melensi filmacci neopatetici che passano per opere di impegno civile.
Anche il luogo comune dei neri che pensano che l’assassino dell’anziana signora possa essere il cattivone bianco viene ridicolizzato. Come quando Clay dirà alla figlia agente dell’anziana signora “ora scegli tra la legge e la giustizia”. La legge non è fatta per praticare la giustizia. La legge serve a chi l’ha scritta e detiene il potere: una rottura del contratto sociale di cui la popolazione non è conscia. Il substrato culturale del film è che il potere dei ricchi del nostro tempo, almeno in questo modello di società USA fondato sulle grandi corporation e sulle burocrazie di controllo, alimenta solo le loro rendite e impoverisce tutti gli altri, in una permanente redistribuzione alla rovescia mantenuta dai governi.
La politica serve ad afferrare il potere e solo a quello. La giustizia è fatta per caste. Se sei un poveraccio muori anche se hai ragione, se sei ricco ti baciano la pantofola, anche se hai torto e sei un criminale. Serve il Beekeeper perché c’è un’unica ideologia, quella del denaro e del suo potere da guardare negli occhi.
Perché come diceva il filosofo Michel Foucault “il grande gioco della storia sta in chi s’impadronirà delle regole, chi prenderà il posto di quelli che le utilizzano, chi si travestirà per pervertirle, le utilizzerà a controsenso e le rivolgerà contro quelli che le avevano imposte; chi, introducendosi nel complesso apparato lo farà funzionare in modo tale che i dominatori si troveranno dominati dalle loro stesse regole”.
Scoprirete che il miele quando è puro è una sostanza piuttosto infiammabile e di fiamme nel film se ne vedono tante.
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