di Felice Manti – Ci mancava solo la carriera alias a turbare i sonni del ministro della Difesa Guido Crosetto. Nei giorni scorsi il titolare del delicatissimo dicastero ha annunciato di aver scoperto sui social che anche la Difesa ha avviato le procedure per riconoscere la cosiddetta «identità alias» ai dipendenti del reparto di amministrazione del ministero che stanno attraversando il percorso della «transizione di genere». In pratica, chi vuole può ottenere un account alias, un’identità digitale alias, un badge e perfino una targa indicanti il nome scelto dalla persona. Le direttive sarebbero state emesse dalla Direzione generale per il personale civile del ministero con l’obiettivo di promuovere il riconoscimento dei diritti delle persone in transizione di genere ed eliminare situazioni di disagio e forme di discriminazione basate su sesso, orientamento sessuale e identità di genere».
Al netto delle implicazioni tecnico-giuridiche e della complessità dell’identità alias in un ministero chiave per la lotta al terrorismo, le infiltrazioni cyber e l’intelligence, quando su Twitter un utente lo ha fatto notare a Crosetto, il ministro è caduto dalle nuvole («Lo scopro ora», il tweet del ministro), dicendo di non essere stato informato e che la circolare che dà inizio all’iter non sarebbe stata concordata né con il segretario generale (che supervisiona la direzione), né con il gabinetto né con l’ufficio legislativo, senza alcuna condivisione preventiva.
Una toppa peggiore del buco, che ieri ha fatto infuriare Pro Vita & Famiglia Onlus, l’associazione cattolica che da anni si batte contro la deriva Lgbtq+ delle carriere alias nelle scuole e negli uffici, che il contestatissimo Ddl Zan (ormai sepolto in Parlamento) avrebbe voluto far riconoscere anche al codice civile come un’identità sessuale «auto-percepita» ed evidentemente mutevole. Sarebbe un paradosso se un provvedimento a cui il centrodestra ha fatto la guerra nella scorsa legislatura dispiegasse i suoi effetti sotto l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni.
«È molto grave che il ministero della Difesa legittimi l’identità alias. È un atto ideologico, perché l’identità alias non è altro che l’identità di genere auto-percepita e non ha né fondamento scientifico né fondamento giuridico», tanto è vero che (in teoria) per l’identità alias non è sempre necessario intraprendere anche un percorso chirurgico per la transizione di genere, anzi.
«Per coloro che hanno fatto una riassegnazione di sesso per via giudiziaria – precisa Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia Onlus – non c’è bisogno dell’identità alias perché i dati anagrafici vengono cambiati dal tribunale, quindi è un problema che non si pone. Invece la sua adozione comprime il diritto alla privacy delle donne e potrebbe persino favorire comportamenti che minacciano la sicurezza delle stesse, non garantendo loro ad esempio un’adeguata sicurezza nei bagni, negli spogliatoi, e in altri luoghi a loro riservati».
Ora la palla passa a Crosetto, impegnatissimo visti tanti fronti aperti, dall’Ucraina a Taiwan passando per Israele e i rapporti con gli alleati. È la solita nemesi: sono più pericolosi gli amici in casa che i nemici alle porte.
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