di Felice Manti – Tira una brutta aria in Procura a Bergamo. L’ufficio giudiziario che avrebbe voluto riscrivere la storia del Covid è rimasto orfano del Procuratore capo dallo scorso agosto – Antonio Chiappani è andato in pensione, non senza strascichi giudiziari e personali, rivendicati in un’intervista al Giornale – ed è guidato dalla reggente Maria Cristina Rota, in corsa per il dopo Chiappani col capo dell’Antimafia di Milano Alessandra Dolci.
Nei giorni scorsi il Giornale ha intercettato l’apertura di un procedimento disciplinare per uno dei vertici della polizia giudiziaria bergamasca, il luogotenente della Guardia di Finanza Marcello Barlabà, «colpevole» di aver forse ingenuamente condiviso alcuni post contro l’esecutivo di Giorgia Meloni. Uno in particolare, firmato da Giulio Cavalli («Hanno trovato gli scafisti. Erano loro») e condiviso anche dal giornalista Carlo Verdelli, recita:
«La nuova cifra della vergogna è 4.938 euro, cioè quanto l’Italia pretenderà da un migrante per non finire nelle gabbie di un Centro per il rimpatrio. Un prezzo in linea con le tariffe degli scafisti. Se c’è un limite alla disumanità un altro passo per superarlo».
A quanto risulta al Giornale, a seguito di un improvvido like sui social, Barlabà sarebbe anche al centro di una querelle con l’ex portavoce dei legali delle vittime della Bergamasca, Robert Lingard, che ha sporto querela dopo essere stato accusato di essersi «svenduto» ad un esponente di Fratelli d’Italia. «Non si possono condividere contenuti faziosi che accusano esponenti di un dato governo (qualunque esso sia) di compiere un reato», si legge nell’esposto che ha dato il là al procedimento disciplinare, aperto per valutare se il militare – tenuto per legge ai «principi di imparzialità dell’azione amministrativa» e al rispetto dei principi di «integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza ed equità» – abbia o meno leso il Codice deontologico della Guardia di Finanza, nella parte in cui si impone a qualsiasi finanziere sia un doveroso contegno, sia «l’astensione da atteggiamenti che possano creare nocumento o portare discredito all’Istituzione».
Un pasticcio nato da un uso forse spregiudicato dei social rischia di creare ancora più scompiglio in Procura, da mesi al centro della fuga di notizie sull’inchiesta intorno alla pandemia e alla mancata Zona rossa nella Bergamasca che di fatto ha vanificato tre anni di lavoro «ventre a terra. L’anticipazione uscita sul Fatto quotidiano ha portato all’apertura di un’indagine interna per capire chi c’è dietro la rivelazione, anche se a quanto risulta al Giornale il fascicolo sarebbe sostanzialmente vuoto.
Proprio sulla Guardia di Finanza si sarebbero concentrate le prime attenzioni, atteso che solo loro avevano in mano il corposo dossier che ha ricostruito le dinamiche interne al governo, al Cts e al ministero della Difesa durante le primissime fasi della pandemia – pur non portando ad alcun procedimento per l’assenza del reato di «mancata prevenzione», ipotesi di cui si è lamentato anche Chiappani – anche se più di qualcuno all’interno della Procura aveva puntato il dito contro il superconsulente Andrea Crisanti, il virologo che ha ipotizzato fino a 4mila i morti in più causati dalla mancata chiusura della Bergamasca e dalla mancata applicazione del Piano pandemico (attuabile anche se scaduto, secondo la Procura) ma la cui tesi si è schiantata davanti al Tribunale dei ministri di Brescia, assieme alla reputazione di Chiappani e della Procura. A quanto risulta al Giornale la Rota tornerà solo oggi dalle ferie. Un rientro che si annuncia burrascoso, a dir poco.
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