di Emiliano Scappatura – Napoleone, che pur doveva al suo genio militare la propria ascesa politica, ebbe sempre molto chiaro il ruolo dell’opinione pubblica nella gestione del potere politico. “Temo tre giornali più di centomila baionette” diceva, anche se poi quei giornali in una Francia ottocentesca li avrebbero letti non più che una parte esigua della popolazione. Cosicché fu il primo censuratore ufficiale. Il primo, si intende, di quella Europa nata da quell’afflato illuministico che aveva assunto la coscienza che le notizie dovessero circolare perché più si conosceva e meglio sarebbe stato per tutti.
Altrove il problema non si poneva neanche: o perché non esistevano i giornali o perché non esistevano i lettori, e a nessuno veniva in mente di creare gli uni o gli altri. Poi, siccome la cosa era andata funzionando, il nipote pensò bene di continuare la politica dell’illustre antenato.
Baudelaire ironizzava su quanto sia facile amministrare nascondendo le proprie miserie: “La grande gloria di Napoleone III sarà quella di aver provato che il primo venuto può, impadronendosi del telegrafo e della stamperia nazionale, governare un grande paese». Ma l’imperatore non era uomo da farsi intimorire da simili critiche e alla fine poteva dire di avere raggiunto il sogno di ogni uomo politico: “Non leggo mai i giornali al mattino perché stampano solo quello che voglio io”. Naturalmente nessuno nel nostro tempo lo può ripetere espressamente, ma molti ci si possono avvicinare parecchio fin quasi a sfiorarlo.
Ogni dittatorucolo che raggiunga un po’ di potere come prima cosa comincia a chiudere, con varie scuse, televisioni o giornali troppo invadenti e a mettere a freno le smanie di giornalisti fastidiosi. Le notizie, dicono, arrivano lo stesso senza tanto bisogno di concorrenza: alla fine in fondo, da ovunque venga, una notizia è una notizia e allora perché andare a vedere chi te la viene a dare?
In Italia naturalmente siamo lontani da simili estremi. I giornali ci sono e bisogna accettarli, e quindi per correggere l’invadenza di certa stampa fastidiosa bisogna agire con maggiore finezza. Il problema, come sempre, nasce da quei giornali che non appartengono alla grande industria e che, anche in un angolo, grida e grida, qualcuno alla fine finisce per ascoltarli. La cosa non è irrilevante.
Ci si potrebbe chiedere per quale motivo degli industriali che, come è il loro mestiere, puntano a far soldi, continuano a mantenere giornali che sono quasi tutti in rosso, e quindi i soldi glieli fanno perdere nonostante cospicui aiuti governativi. Ma solo un ingenuo se ne potrebbe stupire. Il fatto è che l’industria italica è un’industria poco attenta al libero mercato e campa da sempre alle spalle della politica, da cui riceve cospicui appalti. Può partire producendo maglioni e poi si ritrova a gestire autostrade o può nascere automobilistica e finire a produrre mascherine. E quindi avere un giornale è cosa che magari può avere un suo ruolo dell’informazione o, magari, come arma di ricatto.
Una volta, magari, si poteva solo scoprire che la stessa notizia, come diceva Guareschi, può essere vista da destra o da sinistra e cambiava assai, ma se non altro si poteva concedere a chi scriveva una onestà di fondo. Una visione deformata, ma sincera. Adesso all’ideologia s’è sostituito il padrone, che dell’ideale non gliene frega nulla se non quello dei propri interessi, e che non ha una visione politica o la necessità di informare, ma utilizza l’informazione come strumento. Per questo l’informazione si è ridotta a gossip e la classe intellettuale ha smesso di portare avanti una visione critica ma ha ripreso, come da noi è vecchia tradizione, ad essere cortigiana di chi la paga. E la critica vera, quando può, si rifugia a gridare in piccoli angoli maltrattati della rete.
Approfittando quindi della consumata mancanza di coscienza della nazione adesso il governo ha ritenuto di imporre l’ultimo bavaglio all’informazione
Le scuse, come per ogni legge, si trovano, e qui si parla delle solite persecuzioni giudiziarie di gente che alla fine si è rivelata innocente ha dovuto patire dalla gogna pubblica. Cosicché meglio non parlarne affatto e basta, fino a che i processi non si saranno conclusi che tra l’altro, in un paese sgangherato come il nostro, durano anni. Insomma, sintetizzando, siccome non tutti i processi si concludono con una condanna allora affermare che c’è materia per iniziarlo è non solo inutile ma addirittura pericoloso e il giornale va tenuto a bada dalla politica. Si saprà tutto, eventualmente, a cosa fatte.
Ecco quindi che l’Italia, come tutte le dittature, si scopre un paese che ha eliminato il crimine e dove tutto va bene. Se già non esisteva il carcere, adesso non esistono più neanche i delitti: non più furti, omicidi, stragi e qualsiasi altra nefandezza in questo paese: ne sapremo qualcosa, a posteriori, solo dopo anni a condanne già avvenute. Si saprà d’un tratto che quel pluriomicida è stato condannato per una strage compiuta diversi anni prima, e finalmente i vicini scopriranno perché non si vedeva più in giro.
Ecco che il sogno di Napoleone III si va avverando
Si tratta naturalmente per un paese occidentale, quelli che ci distinguono culturalmente dal resto del mondo (per altri infatti non c’è bisogno di una legge per abolire la stampa: lì il giornalismo è già da tempo quello che da noi si sogna di farlo diventare) di una follia, e infatti tutte le corti internazionali vietano una cosa del genere, ritenendo la pubblicazione delle notizie qualcosa di intoccabile. Ma questo ci fa capire come l’Italia stia a poco a poco scivolando in una forma di dittatura silenziosa, ancora più profonda di quanto certi eroi che ancora osano gridare non facciano vedere.
Ma a tirarcene fuori dovrebbero essere, appunto, i giornali, che nei paesi seri offrono una coscienza critica e la tengono vigile, e gli intellettuali. Ma in un paese da gossip forse non c’era neanche bisogno di simili leggi: è tutto già anestetizzato. Neanche Napoleone forse avrebbe sognato tanto: che i giornali lo disturbassero per chiedere prima al padrone cosa scrivere, e se qualcosa sarebbe sfuggita, tanto a nessuno alla fine sarebbe fregato nulla.
Prof. Emiliano Scappatura