di Daniele Trabucco – La Costituzione repubblicana vigente, all’art. 122, comma 1, prevede che “Il sistema di elezione ed i casi di incandidabilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonchè dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi”.
Ora, in attuazione di questa previsione costituzionale, la legge ordinaria dello Stato n. 165/2004, nell’art. 2, detta proprio i principi fondamentali che le Regioni italiane sono tenute a rispettare nel normare i casi di ineleggibilità dei propri vertici. In particolare, l’art. 2, alla lettera f), individua “la non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia” (più che di ineleggibilità, questa è propriamente una causa di incandidabilità).
Questo significa che, se uno Statuto regionale contente il limite dei due mandati (ad esempio quello veneto di cui alla legge statutaria n. 1/2012) venisse modificato per l’introduzione di un terzo mandato consecutivo, la eventuale revisione statutaria sarebbe incostituzionale, dal momento che, ponendosi in contrasto con l’art. 2, lett. f) della legge ordinaria dello Stato n. 165/2004, andrebbe indirettamente a violare il Testo costituzionale (in specie l’art. 122) che, nella materia di cui in esame, prevede una potestà legislativa concorrente, ossia ripartita tra lo Stato, chiamato a dettare i principi fondamentali, e la Regione la quale non potrebbe derogare a questi principi nè sul piano dello Statuto, nè su quello della legislazione regionale.
Pertanto, solo modificando la legge n. 165/2004 sarebbe possibile introdurre il terzo mandato consecutivo per i Presidenti delle Giunte regionali eletti direttamente dai cittadini. Non mancano le obiezioni della dottrina costituzionalistica per cui il divieto del terzo mandato, più che un principio fondamentale, dovrebbe essere inquadrato come un aspetto di dettaglio o che, fino quando il divieto non è recepito dalla legislazione regionale elettorale (e molti Statuti non contemplano un divieto di terzo mandato), si continua ad applicare la legislazione statale preesistente alla riforma dell’art. 122 Cost. che non conteneva limiti (è la tesi fatta propria dalla giurisprudenza di merito nel 2010 per i casi Formigoni ed Errani rispettivamente Presidenti di Lombardia ed Emilia-Romagna). In realtà, le argomentazioni portate a favore della non immedita applicabilità del divieto non paiono essere così fondate.
In primo luogo, la distinzione netta tra “norma di principio” e “norma di dettaglio” è stata in parte sfumata dalla stessa Corte costituzionale (cfr. sent. n. 70/2020 sia pure in materia di edilizia), in quanto siamo in presenza di una disposizione normativa (quella che stabilisce il divieto di terzo mandato consecutivo) che cerca di offrire una protezione unitaria nel territorio nazionale, ovvero, nel caso di specie, tutelare il diritto di elettorato passivo di cui agli artt. 3 e 51 della Costituzione che è strettamente connesso al principio democratico, poichè il potrarsi dei mandati, visto gli ampi poteri di cui è titolare il Presidente della Giunta regionale, lede la effettiva competizione elettorale degli altri candidati.
In secondo luogo, è evidente come la ratio del legislatore statale, di cui alla legge n. 165/2004, sia particolarmente stringente e intenda, al di là del recepimento regionale che dovrebbe svolgere una funzione ricognitiva, garantire la libera e genuina espressione del voto popolare e la autenticità della competizione. Il limite dei due mandati, in altri termini, bilancia in modo eqilibrato l’esigenza di non disperdere l’esperienza di un Presidente e quella di non blindare (per potenziali quindici anni) il ceto politico rispetto ad un necessario quanto fisiologico ricambio.
Daniele Trabucco – Costituzionalista