di Emiliano Scappatura – All’inizio de Il Padrino, il grande affresco di Mario Puzo sulla mafia americana, quando don Vito riceve gente per distribuire favori in occasione del matrimonio della figlia, si presenta a un certo punto un individuo balbettante e quasi vergognoso. Don Vito lo accoglie come tutti gli altri, solo notando da quanto tempo, nonostante la vecchia conoscenza, non si facesse vedere e l’uomo riconosce che sì, è vero. Ma non che non avesse avuto bisogno di giustizia: solo che aveva cercato di ottenerla nei tribunali. Aveva insomma cercato di ottenerla, per così dire, per via ortodossa.
Don Vito non si scompone. La “giustizia” che lui elargisce non va accettata obbligatoriamente, ma si ottiene solo su richiesta, e ognuno è libero di cercare i canali che preferisce. Solo gli chiede, allora, perché sia venuto da lui adesso. E l’uomo quindi spiega che si era rivolto a un tribunale per ottenere giustizia contro i violentatori di sua figlia, e ne ha sì ottenuto la condanna, ma poi, tra attenuanti varie, se li è ritrovati subito liberi e se ne è sentito quasi deriso. E allora è comparso dietro quella scrivania per ottenere una giustizia seria, che potesse considerare adeguata alle sue aspettative. Insomma: mi sono rivolto allo Stato, ma lo Stato mi ha deluso, e adesso sto cercando chi realmente può darmi la soddisfazione che lo Stato mi ha negato.
L’episodio, che potrebbe spiegare molte cose sull’ascesa e il prosperare dei fenomeni mafiosi di inizio secolo leggendo tra le parole di molti illustri mafiosi e capobastone della vecchia guardia da don Calò a Piromalli, che osservava come la sua ascesa era dovuta alle deficienze dello Stato, ci potrebbe aiutare a capire l’emergere di una giustificazione del sentimento popolare verso una giustizia self-made che va prosperando nel nostro tempo. La giustizia è un bisogno primario di una società, ma se lo Stato abdica al suo ruolo non per questo allora il cittadino vi rinuncia: semplicemente ricerca fonti alternative compresa quella, ultima e tragica, del fai da te.
Capisco la critica estrema a cui questa semplificazione concettuale sembra andare incontro: una analisi giustificativa di una giustizia privata che scarica sullo Stato le sue colpe. In realtà, si dirà, lo Stato non ha abdicato a nulla: in Italia esistono tribunali, giudici e carceri, come in ogni paese civile, e quindi nessuno è autorizzato a una forma di giustizia alternativa visto che quella ufficiale c’è ed è in piena funzione. Ma, appunto, questi perseguitati che inseguono armati i malavitosi non ne riconoscono l’adeguatezza, e piuttosto che far da sé, se come quel personaggio avessero potuto rivolgersi a un “padrino” avrebbero ben volentieri dato a lui le centinaia di migliaia di euro che la giustizia statale riconosce, estrema irrisione, come risarcimento alle famiglie dei delinquenti. Ne avrebbero guadagnato soddisfazioni e si sarebbero risparmiati una condanna.
Noi, dicono candidamente, siamo solo degli onesti lavoratori che, se non fossimo stati attaccati, non avremmo avuto la necessità di difenderci. Noi rispettiamo la legge e vogliamo solo lavorare senza disturbare nessuno, e se anche quel giorno ce lo avessero fatto fare oggi non staremmo in un carcere.
In realtà il problema ha delle radici molto più profonde e risiede moralmente in quella sociologia fosca in cui da decenni una certa sinistra sguazza allegramente. Da Rousseau a Marx e derivati il delinquente non è mai stato un uomo da punire ma una vittima della società (e quindi anche nostra) da redimere. Ma innanzitutto da comprendere.
Una certa sinistra non è mai riuscita a recidere, se non con estrema riluttanza, il cordone ombelicale che la ha legata sin dalle origini a quel mondo sociale torbido e violento da cui trae le sue origini e se poi alla fine si è imborghesita è anche vero che in questo mondo ha sempre visto dei fratelli di un universo a cui si sente legata moralmente e idealmente e che non riesce ad abbandonare del tutto senza sentirsi una traditrice. Da ciò deriva che chi commette un atto di delinquenza è, in fondo, un idealista che combatte una società sbagliata che lo ha reso tale e contro cui si sta ribellando, e a sapere grattare bene il vero delinquente è il borghese che non ha bisogno di delinquere solo perché in fondo a lui la società va bene così.
In questa sociologia si giustificano, prendo e pluribus, la ritrosia che c’è sempre stata a condannare pienamente un certo terrorismo che sbaglia, ma … però …; la dottrina Mitterand che ha ammassato a Parigi il fiore della delinquenza internazionale difesa a spada tratta da tutto un universo di scrittori e intellettuali di fama; manifesti di intellettuali che di tanto in tanto sono comparsi nella storia repubblicana sottoscritti da fior di intellettuali che si tolgono la maschera sempre a favore di delinquenti provati, non ultimo quello di qualche mese fa a favore di Alfredo Cospito (un galantuomo accusato di tentata strage e cose del genere);
il Partito Radicale che ha sempre offerto scranni parlamentari a criminali di prima grandezza e lotta per migliorare la vita nelle carceri. E potrei continuare ad abundantiam. Insomma, più che impensierirsi per le vittime, in questo paese ci si è sempre preoccupati innanzitutto dei colpevoli, offrendogli sempre di continuare a girovagare nonostante fedine penali di tutto rispetto.
Cosicché il cittadino onesto è costretto a sperare che nessuno lo venga a tormentare ma se questo dovesse accadere non ha a chi rivolgersi perché da un lato la mafia non è più quella di un tempo, quella artigianale di don Calò che magari i lamenti degli offesi li sapeva anche ascoltare, ma da mezzo secolo a questa parte si è globalizzata e adesso si occupa solo di affari di grosso spessore e non si cura di cose di piccolo conto. Lo Stato, se qualche idealista ancora ci crede, lo trascinerebbe in processi lunghissimi e costosi che si concluderebbero con sentenze irrisorie che non si cura neanche di fare applicare. Quindi è costretto, quando arriva la disperazione, a doversi difendere da solo, ma mancandogli la perizia nel settore, finisce col combinare pasticci e in carcere ci finisce lui, e con costi umani e materiali notevoli che sanno tanto di una beffa.
Quindi la soluzione ottimale sarebbe quella di smettere di lavorare per dedicarsi lui stesso alla strada delinquenziale per acquisire la necessaria esperienza e finirà con sorpresa con lo scoprire che sia ideologicamente che giuridicamente alla fine avrà comunque meno rischi da correre perché in questo paese, come osservava Prezzolini, i più fessi sono sempre quelli che lavorano e si ostinano a rispettare le regole.
Prof. Emiliano Scappatura