di Domenico Ferrara – L’Anm vuole processare le opinioni. Eccola l’ultima pericolosa trovata del sindacato delle toghe che, per rispondere agli «attacchi alla giurisdizione» e alla «pesante denigrazione dei singoli magistrati che hanno adottato provvedimenti in materia di protezione internazionale» ha deciso di ricorrere alle commissioni di epurazione. Sì, avete capito bene. Bentornati nel 1944, con l’unica differenza che oggi non c’è un legame fascista da estirpare e punire ma nel mirino ci sono i cattivi narratori della malagiustizia.
Ma badate bene: non parliamo della malagiustizia perpetrata dai giudici bensì quella ai loro danni. È tutta una questione di indipendenza e reputazione. Anche urgente, vista la celerità con la quale il Comitato direttivo centrale dell’Anm ha deliberato la convocazione dell’assemblea straordinaria, la quale ha redatto e approvato poi un documento unitario. Dal 21 al 26 ottobre, cinque giorni e una velocità che stupisce, specie se rapportata ai tempi della nostra giustizia. Ma quella è un’altra storia.
Qui il punto è che i magistrati si sono riuniti nell’Aula Magna della Corte di Cassazione a Roma e hanno partorito il loro piano d’azione. Che ha una roadmap ben precisa: va realizzato prima dell’estate. E qui la mente dei malpensanti potrebbe ipotizzare una sorta di risposta a orologeria in vista delle prossime elezioni europee.
Ma cosa ha stabilito l’Anm? Innanzitutto la volontà di proteggere a spada tratta i singoli magistrati perché si legge nel documento – «va respinto con forza il tentativo di spostare l’attenzione dal contenuto giuridico del provvedimento alla persona del giudice che lo ha emesso». Insomma, basta casi Apostolico per intenderci.
Ma qui arriva il bello. Quali saranno le azioni concrete? Intanto «un evento di rilievo» entro il mese di marzo da realizzarsi in contemporanea in tutti gli uffici giudiziari (dovranno seguire, sempre su base sezionale e sotto-sezionale entro l’estate, un ciclo di seminari di almeno tre incontri) con lo scopo di fare informazione «con taglio divulgativo sul ruolo costituzionale della magistratura».
E poi, dulcis in fundo, l’istituzione di una Commissione Centrale e di Commissioni Territoriali con il compito di monitorare il dibattito pubblico in materia di giustizia e di predisporre dei format a tema – da replicare negli uffici giudiziari del distretto –, individuando i possibili ospiti; e l’istituzione a livello centrale di una Commissione mista composta da magistrati ed esperti in social media che si occupi di seguire il dibattito pubblico in materia di giustizia e realizzi dei contenuti social volti a spiegare il ruolo costituzionale della magistratura e «a rendere comprensibili le questioni giuridiche concernenti temi che hanno suscitato particolare clamore».
Una sorta di Minculpop 2.0 molto social, un Grande Fratello che costantemente controlla che sui giornali, in tv, nelle piazze e nelle radio passino informazioni corrette sulla magistratura e sull’operato dei singoli magistrati. Se fossero già operative queste commissioni, quali sarebbero le sanzioni per quel ministro o quel giornalista che si permetta di divulgare un’informazione sul passato di una toga come nel caso di Iolanda Apostolico? Sarebbe una informazione a cui i cittadini avrebbero diritto di accedere o sarebbe un tentativo di delegittimare il lavoro, la coerenza e l’imparzialità della toga? Chiedere all’Anm per avere la risposta.
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