«I bambini non sono proprietà dei genitori. L’interesse dei più piccoli va messo sopra ogni cosa».
Per Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano, è questo quello che avrebbe spinto i giudici britannici a non accogliere l’appello dei genitori di Indi Gregory.
Professore, è quindi giusto secondo lei che siano i medici e i giudici a decidere il destino di una bambina?
«Il destino della bambina era segnato da una malattia terribile, senza alcuna speranza di cura. Quello che hanno fatto i medici e i giudici è pensare esclusivamente all’interesse della bambina, proprio come è successo per Charlie Gard. Non è detto che un genitore, per quanto buone siano le sue intenzioni, faccia la scelta più giusta. Pensiamo a coloro che non vogliono vaccinare i figli per il morbillo. In questi casi c’è per fortuna una società civile che protegge i bambini anche dagli errori che un genitore fa per troppo amore».
Nel caso di Indi era sbagliato continuare a sperare?
«La piccola stava molto male e niente avrebbe potuto aiutarla. In queste condizioni, tenere quel povero corpicino attaccato ad una macchina che respira vuol dire solo prolungare l’agonia. Chi volesse sostenere che nel cervello di Indie poteva esserci qualcosa di vitale dovrebbe ammettere che quella piccola soffriva. Vi assicuro che stare in rianimazione espone a sofferenze devastanti. Se invece nel cervello di Indie di neuroni non ce n’erano più, andare avanti non avrebbe proprio avuto alcun senso».
I medici dunque non avevano altra scelta?
«Il dovere del medico non è solo rianimare, ma è anche saper sospendere le cure quando sono inutili. Mi stupisco che qui in Italia si sia pensato di poter fare di più».
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