Positivo al Covid, violò la quarantena. Assolto: “Il fatto non sussiste”

persone in isolamento

In fase di restrizioni legate all’allarme Covid, un giovane che oggi ha 35 anni, operaio a Rubiera, avrebbe dovuto rispettare la quarantena, in quanto risultato positivo al virus. Invece il 10 giugno 2021 fu sorpreso in un bar della zona della stazione di Reggio e identificato come cliente. Processato per questa violazione, ieri il 35enne è stato assolto dal giudice Luigi Tirone “perché il fatto non sussiste”. Per lui era stata formulata l’accusa di “non aver osservato un ordine legalmente dato per impedire la diffusione di una malattia infettiva, e in particolare l’obbligo di quarantena a lui imposta dall’autorità sanitaria nazionale, vista la sua positività”.

Il pm, concluse le indagini preliminari, aveva emesso a carico del 35enne, originario del Burkina Faso, un decreto di citazione a giudizio. Ieri si è tenuto il processo in abbreviato. Il pm ha chiesto una condanna a 2 mesi e 400 euro di multa. L’arringa dell’avvocato Matteo Iotti si è incentrata su due aspetti: “Il giovane era stato sorpreso fuori casa tre giorni prima che scadesse la quarantena: era di fatto già negativo, quindi è un caso di reato senza vittima. Abbiamo sostenuto la tesi dell’illegittimità dell’ordine dell’autorità di rimanere in quarantena, e delle fondamenta giuridiche della norma, che si basava su un Dpcm. Sicuramente è un importante pronunciamento che serve a fare giustizia riguardo a ciò che accadde in epoca Covid”.

Nel 2021 rimbalzò all’attenzione nazionale una sentenza del giudice Dario De Luca riguardante una coppia che, il 13 marzo 2020, nel pieno della prima ondata Covid, fu sorpresa fuori casa e fornì una giustificazione falsa: la donna disse che era stata accompagnata all’ospedale per fare analisi. Ma emerse che non vi fu alcun accesso alla struttura sanitaria, così scattò la denuncia. Il giudice dichiarò il non luogo a procedere “perché il fatto non costituisce reato”. De Luca motivò che il Dpcm, stabilendo un divieto assoluto di spostarsi fuori casa, “configura un obbligo di permanenza domiciliare”. Che però, nel nostro ordinamento, “consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale”. Da qui il richiamo all’articolo 13 della Costituzione, secondo cui queste misure possono essere adottate “solo su atto motivato dall’autorità giudiziaria”: quindi “un Dpcm non può disporre alcuna limitazione personale”. I due furono prosciolti perché “costretti a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo stato di diritto del nostro Paese”.
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