di Francesca Galici (Como) – Una notte qualunque al pronto soccorso dell’ospedale Sant’Anna. Nella sala d’aspetto interna c’erano quasi più poliziotti e addetti alla sicurezza che infermieri. Già da fuori si percepiva il movimento all’interno e dopo aver varcato la porta che separa lo spazio “al pubblico” da quello dei pazienti è stato facile intuire il motivo. All’interno c’era uno straniero evidentemente agitato e piantonato da due poliziotti. Non voleva sedersi, minacciava di uccidersi se fosse stato portato in questura. Voleva andare via, anche se non si è capito dove. Alzava la voce, cercava di varcare la porta per uscire.
La pazienza dei due agenti è stata ammirevole
Lo hanno seguito passo passo, non lo hanno lasciato solo un attimo. L’hanno trovato qualche ora prima mentre, in mezzo alla strada, urlava e insultava i passanti. Non era evidentemente lucido e solo in un secondo momento, a seguito delle analisi tossicologiche, è emerso che aveva fatto uso di sostanze stupefacenti e alcol. La sicurezza dei pazienti all’interno della sala d’aspetto non è mai stata messa in pericolo soprattutto grazie alla fermezza e alla presenza di spirito dei poliziotti. “Dammi la tua pistola che mi sparo”, ha continuato a ripetere lo straniero. “Se mi porti con te io mi ammazzo”, diceva ancora. E poi: “Guarda che è peggio per te”. Durante le ore che è rimasto in attesa al pronto soccorso ha anche accusato gli agenti di avergli fatto violenza.
Un’accusa purtroppo frequente in caso di fermo di soggetti come questi, perché di episodi come quello di cui siamo stati testimoni nell’ospedale del capoluogo lariano se ne verificano ogni giorno in tutta Italia. Abbiamo chiesto a Pasquale Griesi, coordinatore nazionale dei reparto Mobili del sindacato Fsp – Polizia di Stato un commento su questa vicenda e le sue parole non hanno lasciato spazio a dubbi su quale sia attualmente la situazione nel Paese. “In buona parte dei controlli di polizia purtroppo è ormai prassi quella che noi addetti ai lavori chiamiamo ‘sindrome da pronto soccorso’. Capita spesso che lo straniero, per evitare il controllo, accusi un malore. Se poi viene fermato con l’utilizzo della forza necessaria a contenere una resistenza, allora è quasi certo il viaggio tramite ambulanza presso un nosocomio cittadino”, spiega il sindacalista.
Una prassi che sembra essersi consolidata, considerata una valida scappatoia per i migranti che tentano di evitare le procedure standard: “Lo si fa per accusare il poliziotto di un razzismo inesistente, di violenza in uniforme. Altre volte anche per evitare il fotosegnalamento o la denuncia o addirittura l’arresto. Questa è una prassi anche per i nuovi arrivi sul territorio nazionale, quasi come se conoscessero il ‘sistema Italia’. Ovviamente, ricordo a tutti i dati delle forze dell’ordine ferite in servizio: nel 2022 ci sono stati 2.678 agenti feriti, 2.655 nel 2021″. Griesi, su nostra richiesta, snocciola i numeri di quella che appare come un’emergenza: “Nel 2022, il 42,6% delle aggressioni è avvenuto nelle regioni del nord, il 30,4% al sud e il 26,9% al centro. Sono stati 981 gli episodi che hanno visto come protagonisti gli stranieri, il 36,6% del totale. In 737 attacchi (27,5%) l’aggressore è poi risultato ubriaco o drogato“.
Ma questi sono dati parziali perché, come sottolinea il sindacalista, “questi numeri mancano tutti i colleghi feriti in ordine pubblico che raggiungono numeri altissimi in ogni manifestazione e non conteggiati nei numeri sopra riportati”. A tutto questo, come spesso accade in Italia, oltre al danno bisogna aggiungere la beffa, perché, come spiega Griesi, “in molte regioni italiane gli appartenenti alle forze dell’ordine ferite in servizio pagano il ticket sanitario, al contrario del migrante che, per esempio, per un normale controllo dopo essersi fatto trasportare con ambulanza e essersi fatto visitare, non pagherà mai il servizio prestato“.
Al poliziotto in servizio non cambia se si trova davanti uno straniero o un connazionale, spiega il sindacalista Fsp, ma “il fatto che i migranti da noi abbiano un’incidenza al crimine tripla degli italiani, non significa che lo straniero sia più propenso a commettere crimini rispetto a un italiano”. Tuttavia, spiega Griesi, “essendo l’Italia un Paese che non punisce come dovrebbe i reati, attrae ovviamente più stranieri propensi a delinquere“. E questo quadro di impunità, avverte il sindacalista, “rischia di innescare una latente demotivazione degli operatori di polizia”.
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