Un sistema di corti islamiche sul modello inglese, e un registro dei matrimoni religiosi, celebrati in moschea o dagli imam seguendo i pilastri del Corano e della tradizione religiosa. I musulmani tornano alla carica e – pur trovando meno interlocutori politici di un tempo – portano avanti le loro istanze. Con un salto di qualità.
Introdurre dei pezzi di sharìa in Italia, questo pare il senso delle ultime proposte. Non di «voci» qualsiasi si tratta, o di commenti postati chissà dove in rete, ma di proposte organiche, elaborate su quello che si presenta come uno dei maggiori organi di informazione del mondo islamico in Italia: il portale «La Luce», che negli ultimi giorni ha pubblicato diversi articoli firmati da voci piuttosto ascoltate, come quella di Hamza Piccardo, fondatore e poi leader dell’Ucoii (l’Unione delle comunità islamiche italiane).
Anche qui, non si tratta di questioni astratte, ma di matrimoni, divorzi, affidamenti dei figli, problemi con un impatto concretissimo sulla vita di un gran numero di famiglie (in Italia, solo i musulmani residenti sono circa un milione e mezzo). La premessa è una Fede che non rinuncia ad avere una dimensione politica e si trova di fronte un diritto civile italiano considerato inadeguato rispetto alle sue tradizioni e consuetudini. «La specificità della legge islamica – dice per esempio Piccardo – è tale che difficilmente potrà essere recepita da una società che ormai accetta quasi tutto ma non, ad esempio, la poliginia».
C’è tutto un mondo sommerso, insomma, che preme per venire fuori. Piccardo la chiama «la situazione neo-catacombale in cui versa la nostra comunità». «Se in altri posti al mondo i musulmani subiscono le guerre, le persecuzioni dei loro dittatori – scrive – nei paesi di immigrazione sembra che la prova maggiore a cui sono sottoposti riguardi le relazioni matrimoniali e poi quelle genitori-figli»».
L’articolo intitolato «Il matrimonio islamico all’italiana e il ruolo degli imam», spiega le caratteristiche del matrimonio musulmano: un contratto con le sue regole (la donna fra l’altro deve sposare un musulmano, l’uomo può unirsi con «gente della scrittura», anche donne cristiane o ebree). Queste nozze possono essere perfezionate anche senza celebranti, anche non in moschea, ma hanno vincoli ed effetti. «Il problema – scrive Piccardo – insorge quando una donna si trova nella necessità di ottenere il divorzio per via giudiziale». Se il matrimonio è stato «solo religioso – spiega – ecco che nella maggior parte dei casi la donna che, nell’ambito islamico, volesse essere liberata da quel vincolo si trova in grave difficoltà». Chi lo scioglierà e come? «Una soluzione – la sua risposta – potrebbe darsi nel prevedere un registro nazionale dei matrimoni islamici, l’iscrizione al quale costituirebbe l’accettazione preventiva di una giurisdizione islamica in caso di controversia divorziale».
Ma c’è anche chi, nello stesso sito, illustra un’ipotesi ancor più vasta: il «caso studio» delle Sharia Courts. Nate a Londra nel 1982, oggi sono 85, formate da sapienti delle varie scuole islamiche, tentano le riconcilazioni e possono sciogliere solo i matrimoni religiosi. L’articolista si affanna a spiegare che «non si tratta di un sistema parallelo» ma il timore è proprio questo: che siano pezzi di sharìa negli ordinamenti europei. Un’altra organizzazione, intanto, fa sapere di aver messo a disposizione due muftì («massima autorità religiosa islamica, con il potere di rilasciare fatwa») per dare «soluzioni giuridiche alle problematiche matrimoniali e giornaliere».
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