Militari e libertà di manifestazione del pensiero

Roberto Vannacci

Le affermazioni del generale Roberto Vannacci, attuale comandante dell’Istituto geografico militare di Firenze, contenute nel suo libro «Il mondo al contrario» e relative alla «dittatura della minoranza» da parte di omosessuali, di femministe, di migranti e delle c.d. famiglie arcobaleno, rientrano pienamente nel perimetro dell’art. 21 della Costituzione vigente il quale tutela e garantisce la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero, «pietra angolare dell’ordinamento democratico» (così la sentenza n. 84/1969 della Corte costituzionale).

In particolare, non si ravvisa né la violazione del limite espresso, che il Testo fondamentale del 1948 rinviene nel c.d. «buon costume», inteso da una costante giurisprudenza del giudice delle leggi come «pudore sessuale», né dei limiti impliciti o logici, derivanti dall’esigenza di tutelare altre libertà costituzionali, ad esempio collegate ai diritti della personalità (non si riscontrano, infatti, né espressioni ingiuriose, né diffamatorie ed anche il richiamo alla situazione di anormalità, in riferimento alle persone che praticano l’omosessualità, ben potrebbe assumere una connotazione filosofica o religiosa e certamente non tale da porre in essere atti discriminatori), né dei limiti derivanti dall’appartenenza di Vannacci all’ordinamento militare.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, l’art. 1472, comma 1, del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 e successive modificazioni (Codice dell’ordinamento militare) assicura a tutti i militari, indipendentemente dalla loro collocazione gerarchica, la possibilità di pubblicare liberamente i propri scritti e, comunque, di manifestare pubblicamente il proprio pensiero tranne, ma si tratta di una eccezione che esula dal caso di specie, non siano in gioco «argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione». Né, sul punto, si può opporre il comma 3 dell’articolo sopra citato che vieta la propaganda politica.

Il generale Vannacci non solo non ricopre alcuna carica politica, ma neppure ruoli o incarichi all’interno di una formazione partitica. Detto diversamente, non si vede come, se non attraverso la prevalenza di un vero e proprio totalitarismo ideologico da Stato etico (cui contribuisce buona parte della stampa italiana con l’unica eccezione de «La Verità»), si possa sostenere che le affermazioni del comandante dell’Istituto geografico militare di Firenze «screditino la Costituzione» e l’Esercito, come ha dichiarato il Ministro della Difesa pro tempore, Guido Crosetto, dal momento che, in ragione della loro attribuibilità al singolo militare, non solo tali da compromettere la neutralità delle Forze Armate.

Resta, infine, in assenza di una tipizzazione degli illeciti disciplinari per i militari, da capire in che cosa consista il procedimento che si intende avviare contro il generale, quali i «capi di accusa» etc. Il Codice militare in vigore, in merito, fornisce solo una definizione molto generica di illecito disciplinare nell’art. 1352, limitandosi a qualificarlo come «ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina militare sanciti dal presente codice, dal regolamento, o conseguenti all’emanazione di un ordine».

In conclusione, dunque, non si può non condividere la tesi, sottesa alle espressioni di Vannacci, secondo la quale la dualità oppositiva sessuale è condizione di possibilità e pensabilità dell’identità. In altri termini, lo ha scritto in modo autorevole la prof.ssa Laura Palazzani dell’Università Lumsa di Roma: «L’ identità è possibile nella differenza: un individuo è quello che è (in senso positivo) in quanto l’identità presuppone la differenza come opposizione; se tutto fosse indifferenziato, l’io non potrebbe identificarsi. Se non ci fosse la differenza sessuale, non ci sarebbe l’identità. La condizione della identità è il riconoscimento di essere parte e non tutto, di essere una polarità, una prospettiva, un punto di vista che non può pretendere di essere tutto, escludendo che esista un modo di essere, agire, volere diverso da sé. L’identità presuppone un processo diadico (maschio-femmina) o triadico (padre-madre-bambino)».

Tuttavia, parafrasando «Il Piccolo Principe» di Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944), «gli uomini hanno dimenticato questa verità».

Filippo Borelli (Avvocato)
Don Roberto Caria (Teologo morale)
Daniele Trabucco (Costituzionalista)
Articolo pubblicato su www.laverita.info

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