Parto cesareo negato per 3 giorni, neonato muore: 15 indagati

taglio dei punti nascita

(https://www.fanpage.it) – Quindici tra medici e infermieri del reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale San Giovanni di Dio di Crotone sono stati iscritti nel registro degli indagati – con l’ipotesi di reato di omicidio colposo – in relazione alla morte di un neonato avvenuta il 27 luglio. A coordinare le indagini è il pubblico ministero Pasquale Festa, che nei giorni scorsi ha disposto l’autopsia sul corpo del piccolo; i risultati dell’esame saranno noti non prima di 90 giorni.

Nel frattempo ieri sono stati celebrati i funerali del bimbo, che i genitori avevano deciso di chiamare Romano. Le esequie – alle quali non hanno partecipato né il padre né la madre, ancora sconvolti dalla tragedia – si sono tenute a Petilia Policastro, piccolo comune dell’entroterra crotonese in cui la famiglia risiede da tempo.

È da qui che dieci giorni fa, il 24 luglio, Silvano Scalise e la sua compagna Rosa Milano – rispettivamente di 34 e 31 anni – sono partiti alla volta dell’ospedale San Giovanni di Dio colmi di fiducia e gioia. Rosa, infatti, aveva prenotato per quella mattina alle 8 il ricovero per partorire il suo terzo figlio, Romano, dopo una gravidanza serena e priva di complicazioni; il travaglio, pensavano l’uomo e la donna, sarebbe potuto iniziare nel corso della giornata e ben presto il piccolo sarebbe venuto al mondo. Non potevano immaginare, invece, che di lì ad alcuni giorni si sarebbe consumata una tragedia.

l’arrivo in ospedale e i tentativi di indurre il parto

Secondo quanto riferisce la denuncia presentata da Silvano Scalise – che Fanpage.it ha potuto visionare – dopo una gravidanza assolutamente regolare i medici la mattina del 24 luglio avevano ricoverato Rosa Milano e fin da subito avevano tentato di indurne il parto attraverso specifiche terapie farmacologiche, senza ottenere alcun risultato nonostante la donna avesse avuto contrazioni di varia intensità, “mentre i medici attendevano una più ampia dilatazione vaginale, in modo da dare inizio al parto”.

Secondo l’esposto, malgrado fossero trascorsi giorni dall’inizio del ricovero i medici non avevano mai manifestato nessuna preoccupazione assicurando Rosa e Silvano che tutto si sarebbe concluso nel migliore dei modi. “Ricordo che mia moglie li supplicava chiedendo di effettuare un parto cesareo in quanto i dolori patiti erano troppo forti e stava troppo male”. A questa richiesta della donna, arrivata al culmine di un lungo travaglio, i dottori avrebbero replicato che il ricorso a un intervento chirurgico sarebbe stata l’ultima cosa da fare, solo qualora tutti gli altri sistemi avessero fallito.

L’ingresso in sala parto, la speranza e il dramma

La speranza di una svolta positiva si è accesa la sera del 26 luglio, quando Rosa è entrata in travaglio ed è stata accompagnata in sala parto. “Mia moglie era ancora vigile e cosciente – spiega Silvano – mi ha raccontato che sentiva i medici dire che ancora non aveva raggiunto una dilatazione sufficiente per far uscire il bambino. Intanto le ore passavano e lei continuava a supplicarli di tirare fuori il bambino tramite un parto cesareo“.

Alle 2 del mattino del 27 luglio però Silvano sente delle urla di dolore provenire dalla sala parto, un grido – secondo l’esposto consegnato ai carabinieri – causato “dall’uscita forzata della testa del bambino”, che i dottori avrebbero cercato di estrarre “a forza” dopo svariate manovre. “Successivamente ho sentito solo i sanitari allarmati e presi dal panico gridare ‘Chiamate Galea, chiamate Galea’ (il cognome del primario di ginecologia, Domenico Galea, ndr)”.

La situazione precipita. Rosa viene trasferita in sala operatoria con la massima urgenza e Silvano, sul corridoio, vede passare sua moglie su una barella. La donna viene condotta in un ascensore ad uso pubblico e trasferita al piano di sotto, “attraversando un’area d’attesa non sanificata e in mezzo a qualsivoglia soggetto presente in quel momento in ospedale. Tutti quanti hanno assistito alla scena”. Rosa rimane quindi in sala operatoria dalle 2 alle 4 del mattino, e solo alle 5 i dottori comunicano a Silvano la morte di suo figlio; sua moglie, invece, fortunatamente sta bene.

tagli alla sanità

Perché non è stato effettuato un parto cesareo?

Cosa è accaduto in sala operatoria? E soprattutto, la morte del piccolo Romano poteva essere evitata ricorrendo a un parto cesareo, come ripetutamente richiesto da Rosa Milano? Secondo suo marito nessuna spiegazione sarebbe ancora stata fornita da nessuno dei medici presenti. “Ritengo – ipotizza Silvano nell’esposto – che le cause del decesso siano attribuibili al fatto che essendo ormai superati di molto termini dello sviluppo di mio figlio (…) la sua grandezza non gli ha permesso di uscire completamente, espellendo solo la sua testa e lasciandolo soffocare in quella posizione di mezzo, in considerazione anche della scarsa dilatazione vaginale della mia compagna e in considerazione peraltro del fatto che i dottori fino all’ultimo hanno cercato di estrarlo a forza invece di operare con un parto cesareo”.

È così che sono effettivamente andate le cose? Vi sono stati davvero degli errori da parte dei medici? E perché – dopo oltre due giorni di ricovero – i dottori non hanno optato per un parto cesareo? Fanpage.it ha chiesto alla direzione generale dell’Azienda Sanitaria Provinciale Di Crotone di sapere se è stata aperta un’indagine interna, ma al momento nessuna risposta è ancora pervenuta. Nel frattempo la famiglia Scalise – assistita dagli avvocati Ivan Ierardi e Tiziano Saporito – ha denunciato l’accaduto. Quel che è certo è che sulla morte del piccolo Romano sarà la magistratura a fare piena luce chiarendo definitivamente se poteva davvero essere evitata.