di Daniele Trabucco – La scomparsa del Presidente di Forza Italia, sen. Silvio Berlusconi (1936-2023), merita rispetto, preghiera (per chi crede) e compostezza. Francamente non avevo intenzione di esprimere il mio punto di vista, ma sono stato sollecitato da più parti. Ritengo, comunque, che un giudizio su Berlusconi e sulla sua stagione politico-imprenditoriale non possa che avvenire a distanza di tempo e non sulla scorta dell’emotivitá della sua dipartita.
In primo luogo, la genesi berlusconiana va collocata in un preciso momento storico, gli anni ’80 del secolo scorso, durante i quali il venir meno della guerra fredda e della contrapposizione dei blocchi ideologici, il liberismo radicale di Regan negli Stati Uniti d’America e della Thacther in Gran Bretagna, l’affermarsi delle logiche finanziarie a scapito della centralitá del lavoro e la rivoluzione nel sistema mediale con le Tv private e commerciali, funzionali a favorire i consumi, hanno certamente costituito il terreno fertile per lo sviluppo dell’imprenditorialitá berlusconiana.
In secondo luogo, troviamo le peculiaritá del sistema italiano: la crisi dei partiti dovuta a Tangentopoli che ha concluso quella che giornalisticamente è stata definita la “Prima Repubblica”, la fine del monopolio Rai per un nuovo monopolio della televisione privata, il pericolo “comunista” con la sua “gioiosa macchina da guerra”, nonostante la “svolta della bolognina” di Achille Occhetto, hanno aperto le porte alla politica “fecondata” dal marketing commerciale, essendo questa rimasta “orfana” delle grandi ideologie novecentesche.
In questo senso la “discesa in campo” di Berlusconi nel 1994, irrisa dalla sinistra e dai suoi intellettuali, si puó definire a pieno titolo come “post-moderna” con una de-differenziazione orizzontale dei diversi ambiti e del linguaggio da essi utilizzato: la comunicazione artistica sfuma in quella pubblicitaria, il sapere nella divulgazione etc. (pessima, in questo senso, la riforma Gelmini dell’Universitá, di cui alla legge formale n. 240/2010, che non ha eliminato certo le “baronie” e neppure favorito il merito, ma le ha centralizzate nel sistema di abilitazioni nazionali per la I e la II fascia).
Il tutto nella prospettiva di una vera e propria “commercializzazione della politica”, dove lo slogan è esso stesso analisi e dove gli stessi protagonisti (con l’eccezione di figure come il prof. Giulio Tremonti, Antonio Martino e pochi altri) sono stati protagonisti del “gioco”, in parte riequilibrata dallo sdoganamento della pseudo-destra missina di Alleanza Nazionale (di cui il partito Fratelli d’Italia è degno successore) e dalle battaglie nordiste della Lega Nord di Umberto Bossi contro “Roma ladrona”.
Agli apparati-statali Berlusconi ha così sostituito il suo stesso agire comunicativo in spregio all’elaborazione di un pensiero filosofico forte e, dunque, di un solido indirizzo politico. Certo, non sono mancate le manifestazioni di generositá, le “persecuzioni” giudiziarie (una sola condanna e tante prescrizioni), i successi sportivi con il Milan, lo sblocco delle grandi opere (il Mose nel 2003), il tentativo di una riforma costituzionale “federale” (bocciata dal referendum oppositivo del 2006) sebbene di “federale” avesse ben poco, la legge ordinaria dello Stato n. 40/2004 sulla procreazione medicalmente nella parte in cui afferma il divieto della maternitá surrogata, l’avvio del percorso del federalismo fiscale con la legge di delegazione n. 42/2009, ma solo i posteri ci consentiranno una riflessione più ponderata e scevra dalle contaminazioni politiche attuali. Eviteri, pertanto, condanne senza appello e santificazioni postume.
Daniele Trabucco – cotituzionalista