di Emiliano Scappatura – A parte l’acrimonia personale, che magari c’è pure ma dietro cui si è voluto seppellire tutto, credo che ci sia da riflettere sul sottofondo del discorso con cui Michele Santoro ha voluto commentare gli abbandoni e i commenti dei giornalisti che in questi giorni stanno lasciando con volto afflitto e disgustato la televisione nazionale. Si tratta, ha detto, di grandi perdite commerciali, ma se erano là dentro, in un apparato giornalistico che è sempre stato di gestione governativa e non ha mai concesso grandi spazi alle opposizioni interne, è stato perché anche loro erano funzionali al sistema adattandosi a non dare fastidio al padrone di turno e senza toccare argomenti spiacevoli. Non ci sembra di potere dissentire. Con l’aggravante, possiamo aggiungere e la cosa non ci sembra men grave, che mentre alcuni lo facevano essendo ormai popolarmente offuscati da una certo alone di servilismo e avendo quindi ormai perso credibilità altri a quel mondo erano maggiormente funzionali poiché sembravano fare opposizione. E tanto era fastidiosa questa opposizione che alla fine hanno dovuto andar via da soli perché non li voleva cacciare nessuno, ma siccome la figura del perseguitato nobilita sempre hanno cominciato a sbraitare come vittime tanto per circondarsi di un alone da martiri con cui accomodarsi il nuovo scranno già contrattato.
Che in Italia l’informazione pubblica sia in mano alla politica è talmente ovvio che lo hanno messo finanche per legge, e non se ne stupisce più nessuno, se mai qualcuno lo avesse fatto.
Una volta a Sciascia fu chiesto da che parte deve stare l’intellettuale, e lui si stupì di dover nominare una parte, ma semplicemente osservò che il ruolo dell’intellettuale è l’opposizione: dove sta il potere, dall’altro lato deve stare l’intellettuale. Perché l’intellettuale, appunto, deve stare contro il potere, quale che sia, per infastidirlo e fargli le pulci. Deve essere, in altre parole, un gran rompiscatole. Naturalmente è l’esatto contrario di quello che vediamo spesso dalle nostre parti, dove l’intellettuale è una propaggine del potere: pronto a difenderlo fino a che questo si dimostra capace di proteggerlo ma subito pronto, all’esaursi, a inginocchiarsi di fronte al nuovo.
Tutto questo, intendiamoci, non è cosa di adesso, ma è vecchia tradizione culturale ed è anche un modo dell’intellettuale nazionale di difendersi in un paese di ignoranti, ma di ignoranti anche per causa sua: l’intellettuale italiano, di tradizione cortigiana, non lavora per il pubblico, ma per il padrone e insomma per chi lo paga, e in Italia il padrone è la politica o, spesso, nel giornale, l’imprenditore, e quindi solo i fessi si aspettano di trovare in un telegiornale o nella carta stampata la realtà vera e propria.
La legge che concede al governo l’occupazione della televisione pubblica non fa quindi che formalizzare un (triste) dato di fatto. Naturalmente, tanto per far capire che un problema c’è, di volta in volta si odono le solite false questioni di coscienza: è moralmente squallido e intellettualmente orripilante, ma è consuetudine italica, che finora è andata bene a chiunque, e alla fine siamo abbastanza forti da riuscire a superarlo.
Il problema della sinistra è che rivendica una sorta di superiorità intellettuale e che, quindi, finché occupo io, tutto bene, ma quando tocca agli altri ecco comparire l’oscurantismo. Fino a che in Italia c’era l’altro governo all’informazione pubblica ogni partito ha messo i suoi guardiani, e nessuno ci ha trovato nulla di male, a parte qualche borbottio e qualche rimbrotto moralista tanto per far capire che non sarebbe tanto giusto, ma così va il (nostro) mondo. Adesso che il governo è cambiato, dovrebbe cambiare anche la ventata informativa. Ma ecco quindi che alcuni intellettuali di sinistra, che non si sentono legati a una corrente, ma a servire la cultura e basta, come se lì li avesse messi direttamente la Musa, adesso fanno la faccia disgustata: essi pretenderebbero che ci fosse un governo che cedesse agli altri l’informazione, dopo che gli altri non lo hanno fatto, riconoscendo come presupposto la superiorità culturale degli avversari. La cultura è di tutti, ma solo finché la fanno loro.
L’Italia, come già osservato, non è paese di rivolte ma di rimbrotti, e dove i mezzi di comunicazione hanno da sempre un ruolo soporifero fondamentale e nel confezionare la realtà. Crediamo che uno dei maggiori colpevoli sia stato l’intellettuale che, del ruolo eminente che dovrebbe svolgere affinché la società sia costantemente critica e vigile di quello che accade e motivata nella sua capacità di indignarsi, e cioè denunciare e spiegare quello che succede, ha preferito vendersi e giustificare, ruolo che ha trovato più consono e più conveniente.
Qui ci sono giornalisti che vogliono coniugare contratti milionari con sguardi oppressi e grida libertarie. Abbiamo sempre creduto che queste cose si possano poco legare insieme. Ci risparmino almeno l’atteggiamento da martiri. In questo mondo dell’informazione imbellettato che, come dicono a Napoli, chiagne e fotte, questo ruolo lo lascino, più appropriatamente, a quei giornalisti che ogni giorno, per diffondere un po’ di notizie alternative, sono costretti, spesso con grandi sacrifici, solo a chiagnere.
prof. Emiliano Scappatura