Roma, 26 mag. (Adnkronos Salute) – In Italia oltre 700 pazienti psichiatrici ‘ad alta pericolosità’ sociale, autori di reato, sono attualmente a piede libero. Senza contare le altre 15mila in libertà vigilata affidate ai Dipartimenti di Salute mentale, che aggravano il quadro sociale e clinico. Colpa di due fattori chiave: da un lato la pur benemerita legge 81 del 2014 che ha disposto la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari sostituendoli con le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), dall’altro la mancata completa attuazione della legge stessa, che ha reso le Rems strutture senza risorse economiche e di personale sufficienti, senza posti letto, e ora inadeguate a provvedere al necessario ricovero di questi ‘pazienti’.
Una situazione insostenibile
la legge vieta la detenzione in carcere di pazienti oggetto di misure di sicurezza, facendo così ricadere la responsabilità della loro gestione sui Dipartimenti di salute mentale (Dsm)”. Lo denunciano gli specialisti della Società italiana di psichiatria (Sip) che oggi aprono a Cagliari gli Stati generali della psichiatria italiana.
Una situazione che gli esperti definiscono “psichiatrizzazione dei reati”, cioè la “riattribuzione del mandato di custodia e controllo di persone socialmente pericolose alla psichiatria”, e una “criminalizzazione” delle strutture psichiatriche, ormai sature di autori di reato. “Occorre dunque agire con programmi di cura differenziati – avverte la Sip – erogati in luoghi ad alta sicurezza, sul modello di strutture inglesi in cui la priorità è la sicurezza, e la prestazione sanitaria è comunque garantita. Serve la riqualificazione delle Rems, in cui sia presente la polizia penitenziaria, dipendente dal ministero della Giustizia. Serve anche l’adeguamento numerico del personale dei Dsm”. Proposte che saranno portate al Tavolo tecnico sulla salute mentale, costituito pochi giorni fa dal ministro Orazio Schillaci presso il ministero della Salute.
“Gli psichiatri e la Sip, in quanto società scientifica – spiega la presidente Emi Bondi, che dirige il Dsm dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo – hanno la doverosa responsabilità di difendere il paziente psichiatrico dal riemergente automatismo in cui si associa la malattia mentale a un comportamento violento, e il conseguente mandato di controllo sociale, individuando altri modelli organizzativi assistenziali per le condizioni psicopatologiche emergenti, come ad esempio le psicosi da uso di sostanze. Ad altre Istituzioni spetta invece il dovere e la responsabilità di trovare forme e formule di controllo sociale, e di difesa sociale, che rispettino la dignità degli individui, diverse dall’utilizzo della psichiatria, a salvaguardia della sicurezza della società”.
“Recenti episodi, come quello accaduto a Barbara Capovani, psichiatra a Pisa, vittima della violenza di Gianluca Paul Seung che doveva essere ricoverato in Rems, non devono più accadere – ammonisce Bondi -. Per questo serve assolutamente applicare i nuovi requisiti proposti da Agenas per l’accreditamento dei servizi territoriali e il finanziamento dei Dsm che, a fronte delle difficoltà attuali di personale e strutture tali da compromettere la gestione dei malati psichiatrici che non commettono reati, si trovano a dover gestire situazioni spesso estreme”.
“Siamo al totale stallo – sostiene Giuseppe Nicolò, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl Roma 5 –. Le Rems, con l’attuale organizzazione e la mancanza al proprio interno di polizia penitenziaria, non sono in grado di gestire pazienti con alti livelli di violenza, tali da rappresentare un pericolo anche per gli stessi operatori sanitari. A loro, specie se affetti da disturbi di personalità, gravi e pericolosi, di tipo anti-sociale, vanno dedicati programmi di cura differenziati, entro strutture più carcerarie che terapeutiche, in cui la prestazione sanitaria sia comunque garantita. In Italia, logisticamente e per indisponibilità delle strutture non è possibile accogliere nelle Rems queste persone: è pertanto necessario trovare percorsi assistenziali diversi e sicuri, alleggerendo le comunità terapeutiche dal carico, quasi esclusivo, di persone che hanno commesso reati. Ciò evidenzia che la giustizia sta usando percorsi sanitari per esigenze di giustizia non sanitarie”, ammonisce.
“La proposta di legge che ho presentato a marzo – dichiara Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera – prevede la discriminante psicotica per il riconoscimento di infermità e seminfermità mentale. Supera la sentenza della Cassazione a sezioni unite del 2005, la famosa 9136, che ha conferito dignità ai disturbi di personalità. L’Italia è l’unico Paese al mondo a riconoscere i disturbi dì personalità come tali. L’assunto della proposta è che solo l’alterazione dell’esame di realtà può portare ad infermità o seminfermità. Ma soprattutto che avere un disturbo psichiatrico non significa essere ‘folli’. La stragrande maggioranza di chi ha un disturbo psichico, infatti, non lo è. Prevediamo un forte potenziamento dei servizi di assistenza in carcere con percorsi di umanizzazione. Speriamo di poter avere un sostegno ampio in Parlamento”.