La richiesta di particolari forme e condizioni di autonomia da parte delle Regioni ad ordinamento comune, ai sensi del comma 3 dell’art. 116 della Costituzione vigente, richiede la previa definizione dei c.d. LEP, ossia i livelli essenziali delle prestazioni, riconosciuti come prioritari rispetto a qualsiasi regionalismo per assicurare a tutti i cittadini i servizi essenziali. Questi devono essere definiti, secondo l’articolo 117, comma 2, lett. m) del Testo costituzionale vigente, con una legge ordinaria dello Stato. Il disegno di legge di iniziativa governativa (A.S. n. 615/2023) li affida, invece, ad uno o piú decreti del Presidente del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore (art. 3), cioè ad una fonte sub-secondaria di produzione del diritto.
C’è, dunque, nel Testo fondamentale una riserva di legge che il disegno di legge in esame non soddisfa (Staiano). Inoltre, nonostante si continui ad insistere, da parte dei Presidenti delle Giunte regionali, sulle “materie”, va ricordato come queste siano semplici “etichette” riempite di contenuti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale sia prima, sia dopo la riforma del Titolo V della Costituzione avvenuta nel 2001. Al loro interno (Morrone) vi sono interessi pubblici complessi sui quali pendono i criteri elaborati dal giudice delle leggi nella sua attivitá di riscrittura della distribuzione delle competenze, sotto il profilo legislativo, tra lo Stato e le Regioni ordinarie: criterio di uniformitá, di prevalenza, di chiamata in sussidiarietá.
Questo significa che a Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna o alle altre Regioni che intendono richiedere “maggiore autonomia” arriveranno, in ipotesi non scontata di conclusione del procedimento, solo frammenti di competenze con conseguenze negative in termini di parcellizazzione dei centri decisionali a seconda dell’allocazione dell’interesse.
Daniele Trabucco – costituzionalista