CPI, accuse contro Putin basate su documento made in Usa

Corte dell'Aia

(https://piccolenote.ilgiornale.it) – La Corte penale internazionale che ha spiccato il mandato di arresto contro Vladimir Putin, accusato di aver deportato bambini ucraini in Russia, ha basato la sua decisione su prove fornite dall’Humanitarian Research Lab (HRL) dell’Università di Yale. Quest’ultima ha condotto la sua inchiesta grazie a un finanziamento dal Bureau of Conflict and Stabilization Operations del Dipartimento di Stato Usa, un’organismo istituito dall’amministrazione Biden nel maggio 2022 per indagare sui crimini internazionali e favorire la pace (cioè gli interessi americani).

Lo riferisce un’inchiesta di The Grayzone a firma di Max Blumenthal e Jeremy Loffredo, ma, anche se in forma anodina, lo si può apprendere dal documento stesso della HRL, nella pagina introduttiva. E’ stato peraltro dichiarato apertamente alla CNN nel corso di un’intervista di Anderson Cooper al direttore esecutivo dell’HRL Nathaniel Raymond.

Insomma, il Tribunale penale internazionale per dar corpo all’accusa si è basato su una fonte di parte, e molto di parte dal momento che gli Usa sono in guerra contro la Russia per intermediazione ucraina. Quindi, inaudita altera parte, ha preso le sue decisioni. Basterebbe questo per rendere del tutto aleatorio, se non ridicolo, quanto avvenuto. Ma c’è anche molto altro, che emerge dalla lettura del documento dell’HRL, riferito da The Grayzone.

La fonte? Internet…

Anzitutto la base documentale. Così su The Grayzone “HRL non ha fatto alcuna intervista a testimoni o vittime; ha raccolto solo informazioni specifiche disponibili open source [fonti aperte, in genere si riferisce ai media, ai social, internet etc] […]. HRL non ha condotto indagini sul terreno e non ha chiesto l’accesso ai siti” che ospitano i bambini in Russia. Insomma, nessuna indagine, nessun riscontro… un’indagine inconsistente.

Ma nel rapporto, si legge anche altro. Si riconosce, cioè, che la maggior parte delle residenze per fanciulli che ha profilato “fornivano programmi ricreativi gratuiti per giovani svantaggiati ai quali genitori intendevano accedere nel tentativo di proteggere i propri figli dai combattimenti in corso’ e per ‘assicurarsi che avessero cibo nutriente, non disponibile nel luogo in cui vivevano’”.

“Presto tutti i frequentatori dei siti [in Russia] sono tornati a casa in modo tempestivo, dopo aver partecipato con il consenso dei genitori […]. Il rapporto finanziato dal Dipartimento di Stato riconosce, inoltre, di non aver trovato ‘nessuna documentazione di maltrattamenti su minori’”.

Interessante anche un’altra annotazione di Grayzone: “Il rapporto Yale HRL finanziato dal Dipartimento di Stato ha chiarito una cosa sull’esperienza dei bambini iscritti al Donbass Express: è probabile che [bimbi e genitori] mantengano segreto il loro coinvolgimento nel programma. Agli occhi delle autorità ucraine, il semplice atto di recarsi in Russia, anche per lezioni di musica gratuite, equivale a collaborare con il nemico”.

Così nel rapporto, “Molte famiglie in Ucraina non vogliono condividere pubblicamente le loro esperienze [del campo o della scuola] perché temono di essere viste [dall’Ucraina] come collaboratori della Russia”.

Il consenso dei genitori e il timore di ritorsioni

Loffredo continua spiegando che i bambini arrivati in Russia sono tutti del Donbass, che hanno vissuto sotto le bombe piovute sulle loro teste dal 2014, dopo la ribellione a Kiev, e che, essendo del Donbass, sono tutti russofoni, di etnia russa. Un particolare che viene annotato anche nel rapporto HRL, seppur con un cenno “fugace”.

E ancora: il documento riconosce che, in effetti, “molti dei bambini che hanno frequentato questi campi sembrano tornare dalle loro famiglie quando programmato”.

Nel rapporto è sepolta anche la seguente rivelazione: “Molti bambini portati nei siti vengono inviati con il consenso dei genitori per una durata concordata di giorni o settimane e restituiti ai genitori come originariamente programmato”.

“Molti dei genitori in questione hanno un reddito basso e volevano approfittare di un viaggio gratuito per il loro bambino”, continua il documento della Yale HRL/Dipartimento di Stato. “Alcuni di essi speravano così di proteggere i propri figli dai combattimenti in corso, di mandarli da qualche luogo sicuro, con servizi igienici adeguati e assicurarsi che avessero cibo nutriente, non disponibile nel luogo in cui vivono attualmente. Altri genitori volevano semplicemente che il loro bambino si prendesse una vacanza”.

Secondo il documento di Yale HRL/Dipartimento di Stato, “non c’è alcuna documentazione di maltrattamenti sui minori, nessuna violenza sessuale o fisica, tra i siti citati nel rapporto”.

Loffredo ha visitato i siti che ospitavano i bambini in Russia e ne fa una descrizione molto buona, di ragazzi contenti di prendere lezioni di musica e altro, in un servizio corredato da foto che partecipano della felice normalità di un qualsiasi collegio che ospita giovialità fanciulla. Ma la sua potrebbe essere una versione di parte, per cui  non la riportiamo (per chi volesse, rimandiamo all’articolo citato).

L’intervista a Raymond

Di interesse, l’intervista che egli fa al direttore esecutivo dell’HRL, nella quale l’interlocutore gli conferma tutto quel che ha riportato nell’articolo- né poteva far altro -, che nel produrlo hanno lavorato in stretto contatto con l’Intelligence Usa, aggiungendo che il programma russo è “essenzialmente di educazione culturale, o come dire, una cosa da orsacchiotto”.

Il punto, spiega Raymond, è che portare bambini al di fuori dell’Ucraina è contrario alla Convenzione di Ginevra. Detto questo, per la Russia quelle regioni sono territorio russo. Ciò pone una controversia di fondo, anche se tale acquisizione è negata a livello internazionale.

Ma, punto più importante, se i genitori erano d’accordo come da documento? E controversia più dirimente, era meglio lasciarli in balia delle bombe (il Donbass è quotidianamente bombardato dalle forze ucraine) e degli altri pericoli che incombono sull’infanzia ucraina (vedi Piccolenote)? A commento di tale affermazione si addice il detto latino summa ius summa iniuria.

Detto questo, e a prescindere, Raymond conferma che la ricerca non si è basata su alcun accertamento in loco. Non poteva andare, si è giustificato, perché “persona non grata”. Ma ci sono tante modalità per ovviare a un eventuale rifiuto: una missione della Croce rossa, oppure, cosa più dirimente, un’ispezione inviata dalla Corte penale internazionale, che avrebbe dovuto predisporla prima di emettere una sentenza.

Non avendo fatto neanche tale minimo accertamento, e data la documentazione su cui basa la sua sentenza e le contraddizioni insite nella documentazione stessa, la decisione della Corte non sembra avere alcuna base reale e denota solo una subornazione agli interessi degli Stati Uniti.