SUL MANDATO DI ARRESTO INTERNAZIONALE PER IL PRESIDENTE DELLA FEDERAZIONE RUSSA: ALCUNI CHIARIMENTI GIURIDICI
La II Camera preliminare della Corte penale internazionale, che ha sede all’Aia, in Olanda, ha emesso, a seguito di richieste della Procura datate 22 febbraio 2023, due mandati di arresto nei confronti rispettivamente del Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, e di Maria Alekseyevna Lvova-Belovapea, Commissario per i diritti dei bambini presso l’Ufficio del Presidente. Gli illeciti contestati sono il crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione (bambini) e di trasferimento illegale di popolazione (bambini) dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa [articoli 8(2)(a)(vii) e 8(2)(b)(viii) dello Statuto di Roma].
Al di lá della strumentalizzazione politica dell’atto, va ricordato che, se da un lato, il mandato fa obbligo agli Stati parti, sul cui territorio si trovi la persona nei confronti della quale è emesso il mandato di arresto, di eseguire il provvedimento, dall’altro il Paese ospitante potrebbe sempre far valere il principio di immunitá dei Capi di Stato esteri.
E’ stato il caso ad esempio del Sudafrica che non consegno’ il presidente del Sudan Omar Al Bashir nonostante la sua presenza nel territorio sudafricano tra maggio e giugno 2015 invocando, tra l’altro, proprio il diritto internazionale consuetudinario in virtù della carica di Capo di Stato del Sudan. Del resto, procedere con l’arresto, ad opera dello Stato ospitante, significherebbe alimentare ulteriormente il conflitto in corso o, in caso di cessazione delle ostilitá, condurre a conseguenze imprevedibili sul piano internazionale.
Inoltre, lo Statuto di Roma del 1998, istitutivo della Corte penale internazionale, coinvolge 123 Stati, ma non la Federazione Russa la quale non l’ha mai firmato e ratificato. Pertanto, nel suo territorio, quei mandati sono privi di qualunque valore giuridico (a questo si aggiunga che la Russia vieta l’estradizione dei propri cittadini).
Si aggiunga, infine, che né gli Stati Uniti d’America, né la Repubblica popolare cinese, due attori importanti nel panorama geopolitico, riconoscono la Corte penale internazionale con conseguente indebolimento del ruolo della stessa: gli Usa stessi si sono opposti a indagini internazionali della CPI sui presunti crimini di guerra commessi da Israele sui palestinesi. Una scelta, dunque, politicamente inopportuna e giuridicamente poco incisiva, volta solo a rallentare una soluzione pacifica delle ostilitá.
Prof. Daniele Trabucco
avvocato Filippo Borelli