Gli Stati Uniti sbarcano in forze nelle Filippine, stringendo ulteriormente la morsa nel Pacifico contro la crescente ‘aggressività della Cina’ nella regione e una sua possibile invasione di Taiwan, che secondo un generale americano potrebbe avvenire già nel 2025. Una mossa che irrita il Dragone alla vigilia della visita a Pechino di Antony Blinken, la prima di un alto esponente dell’amministrazione Biden e la prima dopo cinque anni in cui un segretario di stato americano incontrerà il presidente cinese Xi Jinping. Washington e Manila hanno annunciato un accordo che garantirà agli Stati Uniti l’accesso ad altre quattro basi militari, oltre alle cinque dove sono già presenti, fornendo porti ideali per i sottomarini invisibili.
L’intesa con quello che è il suo più vecchio alleato in Asia consentirà agli Usa di stazionare soldati ed equipaggiamento bellico, nonchè di costruire proprie strutture, raggiungendo per la prima volta dopo 30 anni una presenza militare così ampia. E dopo 30 anni gli Usa riaprono anche la loro ambasciata nelle isole Salomone nel sud Pacifico, dove Pechino sta tentando di mettere radici militari. Nel 1992 Washington era stata costretta a chiudere la sua ultima base nelle Filippine dopo proteste di piazza e la decisione del Senato di Manila di mettere fine a quello che appariva come il retaggio di un colonialismo durato quasi mezzo secolo, quando le Filippine erano un territorio americano.
I rapporti si erano ulteriormente deteriorati nei sei anni della presidenza di Rodrigo Duterte, che si era avvicinato a Pechino e aveva minacciato di stracciare gli accordi di cooperazione militare con gli Usa. Ma da quando si è insediato in giugno, il suo successore Ferdinand Marcos Jr, figlio dell’ex dittatore, ha resuscitato a sorpresa i rapporti con gli Stati Uniti. E si sta preparando allo scenario di un attacco cinese a Taipei, dopo che in agosto Pechino ha risposto alla visita della speaker della Camera Usa Nancy Pelosi con esercitazioni anche nel canale di Bashi, che separa Taiwan dalle Filippine.
«Un grande accordo», ha commentato dopo la firma il capo del Pentagono Lloyd Austin, precisando che i nuovi siti (mantenuti segreti) non saranno permanenti, nel rispetto della costituzione filippina. Ma il Dragone accusa gli Usa di minacciare l’equilibrio regionale: «Per puro interesse personale, gli Stati Uniti continuano a rafforzare la propria presenza militare nella regione con una mentalità di gioco a somma zero, che sta esacerbando la tensione e mettendo in pericolo la pace e la stabilità regionali», ha attaccato la portavoce del ministero degli esteri cinese Mao Ning, invitando i paesi della regione ad evitare di essere «usati dagli Stati Uniti».
La mossa nelle Filippine è solo l’ultima della strategia Usa per contenere il Dragone, dopo il lancio della Nato del Pacifico (Aukus) con Gran Bretagna e Australia, la guerra hi-tech (con le restrizioni su chip, TikTok e Huawei) e il rafforzamento della cooperazione militare nella regione, in particolare col Giappone, dove stazionerà una unità di reazione rapida dei Marine a Okinawa: sarà l’avamposto americano a nord di Taiwan contro l’eventuale invasione cinese, mentre le isole Filippine saranno quello a sud, entrambi a poche centinaia di km da Taipei.
www.ilmattino.it