di Emiliano Scappatura – Di tanto in tanto il mondo dell’intellettualità di sinistra, che ha sempre quel sottofondo radical chic che fa tanto in, si mette a firmare manifesti a favore di una certa delinquenza da cui non è mai riuscita storicamente a recidere un certo cordone ombelicale e che uzzola di tanto in tanto una sua certa nostalgia di un passato contro le istituzioni a cui si è convertita nel tempo molto malgrado.
Negli anni Settanta a perseguitare il commissario Calabresi furono oltre settecentocinquanta, tra cui il fior fiore della cultura italiana, da Umberto Eco a Pasolini, passando da Primo Levi che da perseguitato non si peritò di diventare qui un persecutore. Nel sessantotto già non pochi si erano calati entusiasti le brache davanti agli studenti vedendo tra coloro che assaltavano violentemente le istituzioni il nuovo che avanzava. E, per non essere da meno, anche la sinistra francese ha sempre guardato con simpatia tutti i terroristi che sono andati a passeggiare sugli Champs-Elysées (ma loro, con più furbizia, solo quelli che avevano commesso stragi e omicidi nei paesi esteri).
Insomma, per questa sinistra postgramsciana padrona di giornali e centri di potere intellettuale puoi anche commettere rapine, omicidi, rapimenti e quant’altro ma basta che dici che lo fai per una buona causa e non sei più un delinquente, ma un perseguitato politico e si sistema tutto. Il motivo è semplice. Gli appelli di questa sinistra stantia sono a costo zero: mettono in mostra la presunta altezza umanitaria di chi guarda l’uomo al di là dei suoi sbagli, la profondità politica di chi sa vedere al di là del gesto mentre noi mentecatti non sappiamo andare oltre il singolo episodio, e l’interesse sociale di chi vive immerso nel proprio tempo tanto da meritarsi sempre una telecamera in prima serata. Se poi invece le vittime muoiono, le istituzioni vanno in malora, magari il tempo dimostra che quelle persone che hai difeso erano dalla parte sbagliata, non rischi comunque niente: nessuno ti chiamerà a prenderti le tue responsabilità.
Quando il commissario Calabresi fu ucciso, quasi nessuno di quei firmatari si è vergognato per le parole orripilanti che ne fecero un bersaglio e anzi, richiamati qualche anno dopo, osarono dire che ormai era passato tanto tempo: era roba passata. Quando, qualche anno fa, incontrai Daniel Pennac in Toscana e gli chiesi cosa pensasse di Cesare Battisti, terrorista e pluriomicida da lui (e da altri) difeso strenuamente come un martire perseguitato dalla giustizia italiana mi disse infastidito che non ne voleva parlare, che voleva parlare solo di cose culturali, come se quella non lo fosse. Insomma, pronti a difendere una causa fino a che fa comodo e serve a dargli qualche prima pagina, ma infastiditi che glielo si ricordi quando scoprono che è diventato un argomento sgradevole.
L’ultimo amore di questa sinistra filodelinquenziale si chiama Alfredo Cospito e un appello in suo favore naturalmente ha subito raccolto decine di firme di questi intellettuali cattocomunismi desiderosi di mettersi in mostra, tra cui anche (e in uno Stato serio ci sarebbe da scandalizzarsi) anche numerosi giuristi come Giovanni Maria Flick, che fu un pessimo ministro della giustizia, ma a questo ci siamo abituati, e come premio fu elevato alla Corte Costituzionale.
Dietro la retorica filoumanitaria per l’uomo si nasconde l’ennesima richiesta di resa dello Stato di fronte allo sciopero della fame nei confronti di questo individuo che non accetta la pena che gli è stata inflitta. Come dire, se il detenuto ha il coraggio di scioperare in maniera così alta, dovete fare quello che dice lui, e quindi è come strizzare un occhio anche a tutti gli altri incarcerati per reati altrettanto gravi che stanno ad osservare come va a finire questa ennesima farsa. Temiamo, in questo paese di molte chiacchiere e di poca serietà, che queste sciocchezze che già sono arrivate al Ministero possano fare effetto sulla folla, visto che un certo giornalismo già gli sta attribuendo fin troppo interesse.
Chi sia costui è presto detto. È un residuo fuori tempo di quel mondo anarchico sessantottino che per fortuna ancora grossi danni non ne ha fatti non perché gli sia mancata la volontà: lui, poverino, tra una gambizzazione e deliri vari si era anche impegnato a fare una strage ma poi, un po’ per la sfortuna un po’ per l’imprecisione, il suo tentativo di far saltare in aria una caserma non è andato a buon fine. Ma dategli un po’ di tempo e vedrete che andrà a migliorare, dopotutto il coraggio non gli manca, e poi in questo paese di falsi profeti ha già tanti seguaci che smaniano di comunicare e apprendere da lui. Ed è proprio questo bisogno di comunicare con i suoi seguaci che vogliono difendere Moni Ovadia, Massimo Cacciari, don Ciotti e tantissimi altri che per difenderne uno poi, alla prossima strage, se interpellati, si difenderebbero subito con frasi del tipo: “Noi abbiamo solo difeso un uomo che stava per morire, poi per il resto la sicurezza è compito dello Stato”. Frasi nobili, con cui lavarsi le mani e la coscienza. Ma noi, nella nostra modestia, preferiamo che, se qualcuno deve morire, sia lui, di sua volontà, piuttosto che tanti altri che non c’entrano. Ci fa sentire meno ipocriti.
prof. Emiliano Scappatura