Effetti della riforma Cartabia: stuprano e non fanno un giorno di carcere

ministra Cartabia

(DI GIUSEPPE PIETROBELLI – Il Fatto Quotidiano) – Non si è fatto un solo giorno di carcere in custodia preventiva, anche se è poi risultato colpevole di violenza sessuale ai danni di una ragazzina di undici anni e ora, dopo aver ottenuto una riduzione di oltre due anni, potrà scontare la pena a casa. Un veneziano deve ringraziare l’applicazione della riforma Cartabia se, nonostante la gravità del reato, potrà godere di questa scorciatoia giudiziaria che gli evita di varcare le porte di Santa Maria Maggiore.

E un cittadino ghanese, ormai abitante in Italia, si avvia verso l’archiviazione, sempre sulla base della stessa riforma penale, per l’accusa di violenza sessuale su una dodicenne con cui ha avuto rapporti dopo averla convinta ad andare con lui nella cantina di un palazzo. L’uomo, infatti, non è reperibile e quindi se entro il 19 giugno non verrà rintracciato per la notifica dell’atto di citazione, la causa sarà archiviata, in modo provvisorio, per tornare fuori dagli armadi (e dalle statistiche) solo in caso di identificazione della residenza dell’uomo. Darsi uccel di bosco conviene, anche perché la prescrizione non viene interrotta.

Due vicende molto simili trovano nelle pieghe della legge una giustificazione perché non si finisca in carcere o non si arrivi neanche alla condanna.

Il processo che si è celebrato in Corte d’appello a Venezia vedeva imputato un uomo già condannato dal Tribunale lagunare a 6 anni di reclusione per violenza sessuale, ai danni della figlia undicenne della compagna. Quando i fatti vennero scoperti e denunciati (la bellezza di 12 anni fa) il magistrato inquirente non ritenne vi fossero le condizioni per chiedere la misura cautelare. Così l’imputato è rimasto sempre a piede libero. Il primo grado fu subito appellato. Adesso è arrivato il secondo giudizio, appena tre giorni dopo l’entrata in vigore della riforma Cartabia. E l’imputato ne ha subito approfittato due volte.

L’avvocato Enzo Di Stasi ha anticipato il dibattimento raggiungendo l’accordo con il sostituto procuratore generale su quello che viene definito il “concordato con rinuncia ai motivi di appello”. Nei fatti è un patteggiamento in corso di procedura, con rinuncia alla Cassazione, che in questo caso ha portato a una pena di 3 anni e 8 mesi. Fino a dicembre il legislatore aveva vietato questo beneficio per alcuni dei reati più abietti: prostituzione minorile, pedopornografia, turismo sessuale minorile, spettacoli pornografici con minorenni, violenza sessuale, violenza sessuale ottenuta con somministrazione di narcotici, atti sessuali con minorenne, violenza sessuale di gruppo. L’esclusione è sparita anche nei confronti di coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza. L’imputato veneziano ha poi ottenuto un secondo beneficio. Visto che la pena è rimasta sotto il limite dei quattro anni, ha potuto chiedere al giudice la trasformazione della detenzione in carcere negli arresti domiciliari. Morale: in una cella non ci finirà più.

Sempre a Nord-est, ma a Pordenone e ancora una volta per un reato sessuale ai danni di una ragazzina, si è registrato il rinvio di un’udienza davanti al gup per l’impossibilità di notificare l’avviso di fissazione del procedimento. L’imputato è un 29enne ghanese che è al corrente del procedimento, visto che due anni fa aveva nominato un difensore di fiducia. Poi si è trasferito e nessuno è riuscito a rintracciarlo. In base alle nuove norme, il giudice ha dato cinque mesi di tempo alla polizia giudiziaria per trovarlo. Ma se dovesse rimanere uccel di bosco, diventerà non processabile e il giudice pronuncerà una sentenza di non luogo a procedere. Con il vecchio sistema, il processo sarebbe rimasto sospeso, bloccando però il timer della prescrizione, che invece ora ha già cominciato a correre.

L’avvocato Alessandro Magaraci ha dovuto spiegare al padre della ragazzina, costituitosi parte civile, che si va verso una sentenza senza condanna. “In questa riforma – ha commentato il legale – vi è uno sbilanciamento a favore dell’imputato, con il risultato che una parte offesa rischia di non avere giustizia se uno si dà alla macchia. Aveva ragione il papà della vittima, avrebbero dovuto applicargli una misura cautelare”.