Autostrade cancellò le foto del Ponte Morandi pericolante

ponte Morandi

(www.laregione.ch) – Crepe che corrono lungo tutto lo sviluppo dello strallo della pila 9. E che evidenziano, dice il pm, “ammaloramenti gravi e significativi”. E ancora: pezzi di ferro arrugginiti che bucano il calcestruzzo, cemento che sembra sgretolarsi da un momento all’altro e cassoni portanti, talmente danneggiati da incuria e agenti atmosferici, che c’è da chiedersi come facciano a non collassare. Sono 55 le foto segrete delle condizioni choc del Ponte Morandi, immortalate pochi mesi prima del crollo, che sono state cancellate dai server dell’ufficio di sorveglianza autostradale di Genova di Spea Enginnering, la società del Gruppo Atlantia incaricata, ai tempi, dei controlli di sicurezza delle infrastrutture. A trovarle, grazie al super software dell’Fbi in dotazione agli inquirenti, sono stati gli esperti della Guardia di finanza. È quanto risulta al quotidiano genovese il Secolo XIX, che ha dedicato ampio spazio alla vicenda.

Inoltre, stando alle considerazioni fatte dai pm nelle oltre duemila pagina di memoria in parte riportate sempre sul Secolo XIX, se Autostrade avesse usato lo 0,7% degli utili del 2017 per sistemare le pile 9 e 10 del Ponte Morandi, il crollo non si sarebbe mai verificato.

Il caso Benetton

Ma non è tutto: secondo indiscrezioni giornalistiche apparse alla vigilia di Natale ma Egle Possetti, portavoce del Comitato in ricordo delle vittime del ponte Morandi, non vuole saperne di presunte manovre da parte dei soci di minoranza privati di Aspi per riportare la famiglia Benetton “nella stanza dei bottoni della società”.

“Sono iniziate le udienze processuali con l’audizione dei testimoni, si entra nel vivo del processo penale e la nostra attenzione è focalizzata su questi temi ma ci sono altre notizie che ci fanno rivoltare lo stomaco” dice Possetti che poi spiega: “pare che i nuovi azionisti di Aspi con Cdp, i fondi Macquarie e Blackstone, vogliano già avere qualche utile, dopo la loro entrata in campo prima di investire nel famigerato lavoro di rinnovamento delle infrastrutture”.

Non solo. In base “a quanto sembra essere stato pattuito nella cessione e rimarcato da esposti presentati alla Procura di Roma – prosegue la portavoce del Comitato – questo ente pare ridotto ad azionista quasi di minoranza. Ma Cdp è l’azionista pubblico che dovrebbe garantire i cittadini sulla futura sicurezza delle infrastrutture, anche perché, della sicurezza nella precedente gestione non abbiamo purtroppo avuto gran riscontro”.

E in questo “marasma di immobilismo e di ‘voglio utili’, qualche ’mente superiore’ cosa penserebbe di fare? Penserebbe di fare un bell’aumento di capitale per dare utili ai fondi e di far rientrare dalla finestra la famiglia Benetton, azionista di maggioranza al momento del crollo del Ponte Morandi”. Cosa che i familiari delle vittime non vogliono neanche sentir ipotizzare. “Ne abbiamo passate tante da quel giorno, come familiari delle vittime e come cittadini senzienti e pensiamo di averne avuto abbastanza, di avere sopportato nostro malgrado anche la cessione di Aspi con remunerazione stellare agli azionisti precedenti nella cui compagine comparivano i Benetton, che hanno ricevuto compensi inauditi per cedere quote azionarie che avrebbero dovuto essere considerate carta straccia”.

La speranza delle famiglie

La speranza e l’auspicio del Comitato, dunque, è di avere “chiarezza” dal Governo e di “non assistere all’ennesima vergogna o altri pasticci sotterranei ancora in sfregio alle 43 vittime, ai loro famigliari e a tutti i cittadini italiani”. Intanto prosegue il processo a carico di 58 persone tra ex dirigenti di Aspi e di Spea, dirigenti del Mit e del Provveditorato.

Nei giorni scorsi i pm Massimo Terrile e Walter Cotugno hanno depositato una maxi memoria di oltre 2.700 pagine in cui ripercorrono la storia del Morandi ma, soprattutto, tutta la catena di sottovalutazioni ed errori andati avanti per 50 anni. E la filosofia che ha guidato la gestione dell’infrastruttura: massimo risparmio per ottenere “eccezionali utili di esercizio distribuiti come dividendi” a favore degli azionisti vecchi (i Benetton) e di quelli nuovi (cinesi e tedeschi) “assicurando rendimenti al di fuori di qualsiasi parametro di rendimento comparativo – scrivono i pm – nel generale compiacimento della proprietà Benetton, che riversava la sua soddisfazione sui manager che la assicuravano”.